FESTIVAL DI CANNES 76 - CONCORSO - PREMIO MIGLIOR REGIA
Era dai tempi del gran film premio Oscar come miglior film straniero di Gabriel Axel, "Il pranzo di Babette" che una tavola imbandita non esercitava il fascino magico di un rituale ove passione e voglia di vivere e tendere alla perfezione venissero comunicate con tanta efficacia.
A trent'anni esatti da quella Caméra D'Or meritatissima che lo lanciò grazie al raffinato e poetico Il profumo della papaya verde (1993), torna al Festival di Cannes, e ne esce tra i vincitori come il più a sorpresa, oltre che, personalmente, tra i più graditi, il talentuoso cineasta franco-vietnamita Tran Ahn Hung, da decenni ormai di fatto francese nella vita e nelle produzioni di cui ha curato la regia.
La storia, liberamente ispirata al romanzo di Marcel Rouff intitolato "The life and passion of Dodin Bouffant, gourmet", ambienta la vicenda ad inizi novecento presso l'attività di un rinomato cuoco, appunto Dodin Bouffant, che condivide con la sua fervente e dotatissima assistente Eugenie, un rapporto di lavoro e di vita che rasenta l'estasi.
salvo il fatto che la donna, molto affezionata al suo datore di lavoro, non vuole cedere alle lusinghe del suo maestro, ma non perché non ne sia attratta, quanto perché teme che il cambiamento dei rapporti tra i due possa finire per interrompere quell'idillio che, in cugina, li rende una coppia straordinaria, in grado di eccellere e portare all'estasi le papille gustative dei propri commensali.
La sintonia tra i due cuochi è perfetta: Eugenie è anche più brava manualmente del suo capo, che invece è più portato a relazionarsi e vendersi bene, trovando anche modo di elaborare teorie tutte sue che poi la sua collaboratrice trasforma in idilliaca realtà per il palato.
Quando lo chef tuttavia si metterà privatamente ala prova cucinando un pasto privato solo per la sua affezionata dipendente, ecco che Eugenie, estasiata dalla prova mostrata dal suo superiore, non potrà far altro che acconsentire alle nozze.
Ma la vita, troppo spesso, riserva amare sorprese che finiscono per compromettere l'idilli professionale e sentimentale che pareva inossidabile tra i due professionisti.
La vicenda, di fatto semplice e sviscerata con grande trasporto, è narrata ed esplicitata sullo schermo con la grande eleganza di riprese che spaziano arditamente per l'ambiente della cucina tra le pietanze in preparazione ed introducono lo spettatore lungo un percorso culinario che appare davvero coinvolgente e si amalgama perfettamente alla storia di vita, amore e purtroppo morte che stanno alla base della storia di coppia che coinvolge i due.
Un'altra scelta azzeccatissima risulta quella dei protagonisti, che trovano in un delicatamente ostinato e romantico Benoit Magimel, e nella segretamente sofferente, ma non meno determinata e sicura di sé Juliette Binoche, due eccellenti espressioni di un complesso legame tra arte culinaria e sentimento amoroso in grado di tradursi allo spettatore con tutte le sfaccettature di un sentimento che appare non meno genuino e rigoroso dei piatti che stanno alla base delle creazioni dei due eccellenti cuochi.
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