Regia di Allen Hughes, Albert Hughes vedi scheda film
Quando Jack lo Squartatore, dopo essersi rivelato, annuncia di essere “un precursore del ventesimo secolo”, vengono i brividi. Col senno di poi, sappiamo che il ’900 ha visto una tale serie di massacri organizzati che, al confronto, gli efferati delitti del serial killer londinese sembrano un’opera di artigianato, ma il principio è lo stesso: l’uso della violenza in funzione della ragione di stato. Non so quanto la soluzione del giallo proposta dal film sia attendibile, ma la trovo terribilmente verosimile. Per essere chiari: dietro l’apparenza horror, qui c’è un thriller fanta(?)politico. Come in Arancia meccanica (mi si passi il parallelo), si parla delle modalità con cui il potere esercita la violenza; modalità che in casi estremi possono diventare apertamente criminose, che alla fine possono anche prevedere di scaricare il diretto responsabile fingendo di sdegnarsi per il suo operato, sempre però garantendo la sua impunità nei confronti della giustizia ordinaria (“non credo che glie lo lasceranno catturare”, aveva detto poco prima il buon Jack al poliziotto che lo stava braccando): niente capri espiatori da mostrare in pubblico, solo una condanna da scontare lontano dagli occhi di tutti. Da un clima così cupo, il barlume di speranza che emerge nel finale sembra anche più brillante di quanto sia: la bambina non diventerà l’erede al trono, trascorrerà una vita normale (cioè miserabile) allevata dall’unica prostituta scampata alla strage (una meravigliosa Heather Graham dai capelli rosso tiziano); il poliziotto rinuncerà per sempre a rivederle, perché il potere ha la memoria lunga e non si possono correre rischi, e si condannerà a una morte precoce e solitaria: ma almeno saprà che sono vive, lontane dall’inferno in cui le persone vengono ammazzate come animali per nascondere un segreto di stato.
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