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E morì con un felafel in mano

Regia di Richard Lowenstein vedi scheda film

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La recensione su E morì con un felafel in mano

di cazzeggiatore del millennio
6 stelle

Onesta visione da parte di un artista allo sbando.

  Danny vive con gli amici in una grande casa, non sarà l’unica anzi, fuggirà più e più volte per una serie di vicissitudini facenti parte della sua tragicomica esistenza.

  Richard Lowenstein dà forse il meglio nel penultimo film (fino ad ora) distante otto anni dal successivo Mistify, sfruttando il soggetto di John Birminghan trae quella che pare un’autobiografia filosofica sfruttando l’esaurito protagonista: un ragazzo apparentemente alla fine del percorso esistenziale, l’atteggiamento di un ottantenne  ?  che molto probabilmente ha visto tutto  ?  in un poco più che ventenne dal canto suo privo di quel soddisfacente bagaglio d’esperienza.

  Attorno al nostro Danny c’è la società con una serie infinita di contraddizioni viste con l’occhio dell’artista quale egli è, la visione ironica di un tumulto al quale a volte persino noi stessi ci sentiamo inermi, inadatti estranei a cambiamenti capaci di travolgerci esattamente come le nostre stesse necessità suggeriscono ma alle quali siamo incapaci di dare ascolto. Sembra quasi d’essere al cospetto di una cronaca raccontata piuttosto dal cuore che dagli occhi del protagonista, quasi quel libro in atto d’essere scritto sia la pellicola scorsa sullo schermo.

  Dialoghi completamente scombinati di persone sorde l’una all’altra nel raccontarsi la propria visione d’un mondo iniziato e concluso nelle loro parole al vento, una visione la cui frustrazione è sfogata con atti assurdi, fini a loro stessi. Una società distante, al giogo delle crudeli autorità interessate al tuo status sociale prima di valutare come comportarsi, ne derivano proteste estreme spesso autolesionistiche ed una convivenza infernale tra chi si lega morbosamente alla quotidianità e chi lascia divorarsi dai più forti fino a folli rivalse.

  Di fronte a questa realtà la visione è paradossalmente indolente scendendo spesso in vicende e situazioni di commedia nerissima, succede di tutto, il bello è che questa è semplicemente la realtà.

  La patinatura grottesca di quei colorati primi anni duemila all’insegna del new metal, il montaggio vispo che porta ad impressioni di star quasi in un’altra dimensione e dialoghi onesti, provenienti dal cuore esattamente come la messa in scena che – onestamente come qualsiasi opera fortemente ispirata – qualche tocco ardito se lo prende.

 

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