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L'uomo che non c'era

Regia di Joel Coen vedi scheda film

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Lehava

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La recensione su L'uomo che non c'era

di Lehava
8 stelle

Un film ben fatto, niente da dire. Nel suo genere  arrischierei un "quasi perfetto". Eppure che non mi ha colpito al cuore. Il titolo come sempre è una chiave di lettura ed interpretazione: "L'uomo che non c'era" è Ed Crane, "inesistente" perchè quasi del tutto privo di emozioni e pensieri. Il suo essere coincide con il suo "fare". Egli è barbiere. Perchè quello è il suo lavoro. L'azione, sia essa presente o assente, il suo unico linguaggio. Ed in effetti si muove nel mondo quasi totalmente muto. L'assenza della sua voce un elemento totalizzante della pellicola. Pellicola che però è, per paradosso formale, estremamente verbosa. A volte scocciante per quante parole si affollino ovunque. Questa dicotomia silenzio del dialogo / narrazione si svela e districa solo nel finale: Ed stà scrivendo una lettera/testamento. Esprimendo a pieno sé stesso senza voce e nella assoluta solitudine e distacco dal mondo. Ancora una volta una azione, quella della scrittura, ad esprimere il suo essere. Essere/fare dunque ma anche vuoto/pieno, fotograficamente esemplificato dall'utilizzo del bianco e del nero. Il protagonista è vuoto, di sentimenti e pulsioni. Anche dei più elementari come amore, compassione, attrazione sessuale. Ma in realtà è pieno, pieno di sé stesso e del suo nulla, che lo porta a agire nel mondo attraverso il "non agire". Il suo restare fermo è il motore scatenante del tutto. Il suo "non essere protagonista" lo porta ad essere protagonista assoluto. Ed in effetti c'è lui e lui soltanto, alla ribalta. Tutti gli altri personaggi si muovono in sua funzione, e stanno sullo sfondo. Nulla sappiamo di loro in quanto tali, li conosciamo solo attraverso il racconto di Ed. Filtrati dalla sua apatia. In qualche modo, egli è un novello Oblomov e la negazione dello stesso. Pur nell'inerzia totale, tutto si muove. Ma non è un mediocre, come lo decifisce l'avvocato nella sua linea difensiva processuale: Ed è invece pienamente e completamente egoista. Non è visto da nessuno perchè lui per primo non vede nessuno. La moglie, il cognato, gli altri personaggi "sono". Ma nella vita di Ed potrebbero anche "non esserci" e non cambierebbe nulla. Certo gli accadimenti prendono il via da una decisione del protagonista, quella di ricattare Dave ed ottenere dei soldi. Ma anche qui, non c'è reale convinzione. E' una volontà debolissima guidata da un mix di delusione, curiosità, ed iniziativa fine a sè stessa. Sembra quasi che il protagonista, spinto dal bisogno di esistere, non riuscendo ad "essere" intrinsecamente, decida di muoversi sullo scacchiere del mondo, forse per la sola unica necessità di sentirsi vivo. Facendo, è ovvio, la mossa sbagliata, per il motivo sbagliato, con tempi e modi sbagliati. E per questo, inesorabilmente, viene punito, e con lui tutti coloro che gli ruotano attorno, "inesistenti" anch'essi, o meglio "esistenti" solo attraverso lui. E pure sfortunato, questo è da dirsi. L'unico scoglio a cui aggrapparsi nella tempesta, la giovane Birdy, non è un solido masso ma un sasso scivoloso ed instabile. Invece di salvarlo, lo fa precipitare definitivamente. Ma Birdy, a ben guardare, esiste anch'essa solo tramite il suo sguardo. E' pertanto una sua "creazione" senza vita propria. Quando questo viene fatto notare, dal maestro di pianoforte che vede l'essenza definendola "un ragazzina carina", Ed rifiuta l'ovvietà. Il tema dello "sguardo" è centrale, evidentemente. Non a caso, ma forse un po' troppo svogliatamente, e senza troppo approfondimento, si cita Werner Karl Heisenberg, la teoria dell'indeterminazione, "Più osservi qualcosa, meno la comprendi, perché l'atto stesso di osservarla la cambia" - cita l'avvocato in un colloquio in prigione fra Ed e la moglie. Il punto di vista è del protagonista, eppure estraneo ad esso. E c'è sicuramente della grande abilità nel gioco di prestigio vuoto/pieno, dentro/fuori, colpevole/innocente, bianco e nero

Un film ben fatto, niente da dire. Lo ripeto. Soprattutto nella scrittura, che in fondo è alla base di tutto. E nella fotografia, le ombre degli alberi sulla casa, la luce che filtra nella stanza della prigione dove stanno a colloquio marito moglie ed avvocato, alcuni primi piani del protagonista: uniformi ed omogenei come il suo "non essere". E poi il bianco totale nella scena conclusiva: inferno o paradiso? Ottimo Billy Bob Thorton, giusti i comprimari.

Eppure, lo sottoscrivo, un film non mi ha colpito al cuore. Né alla testa o all'anima. Troppo lento, troppo d'atmosfera, una ricerca della suspence che però si snoda spesso in una attesa vuota. L'ironia eccessivamente evidente (i marziani!) ed un po' fuori luogo. Un buon sonoro ma Beethoven, su tutto, no! Sto' accampando ragioni, che forse, non esistono. Ecco il perchè delle 4 stelle: l'oggettività prima di tutto. Ma "L'uomo che non c'era" non stà nelle mie corde, e così è.

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