Regia di Tony Scott vedi scheda film
«Ti ricordi quando sapevamo distinguere i cattivi dai buoni?», chiede un agente della Cia che sta per andare in pensione a un suo capo. «Quello che facevamo aveva uno scopo nobile, no?». Sotto sotto, probabilmente, voleva giocare su questo dilemma, “Spy Game” di Tony Scott: come eravamo quando eravamo convinti di essere i buoni, e come siamo diventati quando la Storia, il Vietnam e tante altre guerre e missioni ci hanno invece rivelato che gli spartiacque del mondo sono molto più sfaccettati. Cosa avrebbero fatto Pollack, Pakula, Coppola dei tempi d’oro con la storia dell’agente a un passo dalla pensione che ha 24 ore per salvare il suo “allievo” dalla condanna a morte in una prigione cinese, mentre la Cia se ne lava le mani? Certamente Tony Scott non ce la fa: dopo 20 minuti iniziali a razzo, stringati, efficaci, invece di lasciare mano libera a Robert Redford che cerca di giocare tutti i suoi colleghi e superiori in un’interminabile riunione, cade nella trappola del flashback (in Vietnam, a Berlino e a Beirut), “seppiati” e girati con eccessi, ghirigori e debolezze stilistiche e ideologiche d’ogni tipo. E nemmeno ci regala un finale all’altezza dell’inizio. Peccato, perché Redford, tra il Condor e “Tutti gli uomini del presidente”, è molto bravo.
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