Regia di Fabio Conversi vedi scheda film
Il riferimento alla canzone di Totò è intenzionale in questo racconto di donne in prigione (traversa secondaria del genere carcerario). Femmine messe nei guai dagli uomini: si fa riferimento continuamente all’articolo sessantanove di un codice penale-affettivo. Entriamo nella cella, ricostruita in studio, con brutto fondale di cielo e mare, insieme a Giovanna Mezzogiorno, un’attrice in attesa di giudizio. La spesa, le docce, le ore d’aria, il caldo asfissiante, il caffè, i pasti, i colloqui, le confessioni, la posta, i brutti disegni che l’attrice regala alle sue compagne, i battibecchi tra madre e figlia dentro per droga, la visita al parrucchiere, una mano disegnata su una parete che realizzerebbe i desideri, le secondine gentili, le stelle cadenti, le medicine serali e i risvegli notturni. Il misero copione non mette a fuoco i personaggi ed evita ogni conflitto drammaturgico. La regia assiste deconcentrata a questo quadretto da gattabuia.
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