Regia di Celine Song vedi scheda film
Na Young e Hae Sung vivono l’infanzia a Seoul e vanno a scuola insieme. Bambini di scuola primaria, hanno l’età giusta delle prime cotte, il loro feeling è evidente, caratteri molto diversi c’è qualcosa che li unisce e un giorno, da grandi, daranno le motivazioni della filosofia cinese a questo yin e yang che li attrae.
Non è un film il luogo per addentrarsi in analisi complesse su filosofie che da migliaia di anni caratterizzano Oriente e Occidente, diciamo solo che i due protagonisti vivono un’esperienza insolita che uno sguardo superficiale definirebbe romantica (e infatti l’uscita nelle sale per San Valentino non è un caso), in realtà sono attori di uno degli innumerevoli scenari che la vita mette a disposizione dei miseri mortali senza consegnare un copione, vai e recita, dice, e vedi come va.
Se poi sulla strada c’è una brava regista coerano-canadese-statunitense come Celine Song, donna di teatro che sa bene come far muovere gli attori sulla scena, e se, valore aggiunto, c’è il dato autobiografico che ditta dentro, i giochi sono fatti e Past lives è presentato alla Berlinale, si candida a vari Oscar e il Sundance lo celebra a dovere.
Il film è godibilissimo, dribbla gloriosamente la melensaggine, nella sua apparente semplicità è costruito con sapiente intreccio di piani, non è la storia d’amore che vuol far credere (o che molti amerebbero credere) risucchia lo spettatore in un gioco di specchi, ci si sente un po’ coinvolti, chi non ha mai pensato quale sarebbe stata la propria vita se… ecc. ecc.
Past lives vive di queste domande, il 12 e il 24 sono i numeri simbolo, Na Young e Hae Sung si ritrovano dopo 12 anni via internet, per lei è un caso, per lui no, l’aveva cercata.
E poi passano altri 12 anni fino a 24, quando finalmente uno dei due (indovinate chi) va a trovare l’altro/a.
Naturalmente è lui, Na Young, rimasto in Corea mentre lei, diventata nel frattempo Nora, si è trasferita bambina a New York dove si è perfino sposata con tale Arthur, scrittore come lei ma meno ambizioso.
Sì, perché la piccola Hae Sung/Nora aveva manifestato fin da piccola ambizioni letterarie, il successo le piaceva e pianse calde lacrime quella volta che Na Young arrivò primo e lei seconda nel compito in classe.
Dunque, tornando ai caratteri che più di yin e yang determinano, insieme a tanti altri casi e accidenti, la storia dei singoli, il film forse andrebbe analizzato badando alle scelte che entrambi hanno fatto in 24 anni, quelli che dall’infanzia li hanno portati alla maturità.
Lui, coreano al cento per cento, è rimasto dove era nato, in un mondo piccolo piccolo (lo dice lui) non a misura di Nora. Dei due è quello più legato al ricordo, è lui che cerca la compagnuccia dei giochi infantili per cui aveva una dedizione particolare, è lui che l’avrebbe sposata se solo lei fosse rimasta lì.
Ma Hae Sung ha spiccato il volo, non ha raggiunto chissà quali traguardi, ma ha ancora tanta vita davanti e il Pulitzer o il Nobel possono aspettare. Na Young resterà il piccolo amico del cuore di un tempo passato a cui pensare con tanta dolcezza.
E Arthur? E’ il bravo e comprensivo marito americano che non fa scene di gelosia. Ha i piedi per terra e capisce come vanno le cose a Occidente.
L’aria che si respira è di leggera malinconia, San Valentino a parte piacerebbe a tutti una bella storia d’amore a lieto fine.
E invece no, l’oceano e tredici ore di volo ci ricordano che siamo nel ventunesimo secolo.
Non resta che sperare che fra altri 24 anni Na e Hae si ritrovino, magari a metà strada.
www.paoladigiuseppe.it
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