Regia di Celine Song vedi scheda film
Con una singola scena, che torna due volte nel film, cerchiamo di spiegare cos’è Past Lives di Celine Song, già passato al Sundance Film Festival e in concorso alla 73esima Berlinale.
Il film si apre con un lento zoom su tre personaggi seduti a un bar: lui, lei e l’altro. Due persone fuoricampo si chiedono chi siano. Lei e lui sono coreani, l’altro è americano: chi sta con chi? C’è una coppia, c’è un fratello, sono amici, l’americano è una guida turistica?
Poi parte il film: la storia d’amore impossibile fra Hae Sung e Na Young, compagni di scuola separati dalla decisione dei genitori di Na Young di emigrare negli USA. Le separazione porta, insieme al rimpianto, la speranza di Na Young di avere successo negli Stati Uniti come scrittrice. Hae Sung rimane a Seoul, a condurre una vera vita “coreana”: genitori, studio, bevute di soju con gli amici e tutto il resto. Na Young, rinominata Nora, dopo 12 anni conduce una vita piccolo borghese a New York. I due si incontreranno online e poi di persona due volte nell’arco di 24 anni, costringendosi a mettere in prospettiva adulta quello che sembrava solo un amore giovanile.
Si arriverà poi alla scena già citata nel prefinale. Na Young e Hae Sung parlano di vite precedenti, di vite alternative, mentre Van Morrison canta in sottofondo dalla radio del bar. Si chiedono chi sarebbero stati, chi saranno nelle vite successive, chi erano in quelle precedenti: questa volta, Celine Song li inquadra come se avesse scavalcato il campo della prima inquadratura, dalle loro spalle, mentre il “terzo incomodo” (non si anticipa chi sia, ma è prevedibile) è lì accanto a loro.
Tramite questo elementare artificio registico Celine Song costringe a mettere in prospettiva non solo la semplice storia d’amore che racconta, ma il film stesso, in qualche modo: produzione coreana-statunitense, prodotto da A24, capitato in perfetto timing con la New wave sudcoreana che impazza negli USA. E il film, che come Minari parla di immigrazione, evita di usare la sua storia come pretesto per parlare di contesto sociale. Come capita raramente, Celine Song è interessata alla purezza romantica della trama, costruendo tutto in maniera stranamente essenziale. E alla fine produce un feel good movie perfetto per una serata romantica. Nulla di bene, nulla di male: nonostante l’ironia (riuscita) con cui affronta i discorsi sul destino (l’In-Yan, equivalente del karma, definito come semplice approccio di rimorchio in Sud Corea da Na Young), alla fine ci crede davvero. È una scelta ingenua da biglietto d’auguri, ma mantiene un tenore tenue e tranquillo, senza nevrosi né luoghi comuni, e il risultato non è antipatico come sembra.
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