Regia di Pablo Larrain vedi scheda film
La ciclicità, l'eterno reincarnarsi delle dittature e del potere, con i loro assassinii e i loro reati: così Pablo Larraìn chiude, forse, il cerchio sul suo lungo indagare la tragedia del suo paese, la dittature feroce di Pinochet. Ma se "Tony Manero", "Post Mortem" e "Il Club", furono film molto riusciti e necessari, questo "El Conde" spiazza, e non poco. Il registro è horror (e visto di cosa si parla, ci può stare), sanguinolento e grottesco, coniugando "Nosferatu" e Tim Burton. Augusto Pinochet non è morto, è un vampiro che si tiene in vita come fanno i vampiri, bevendo sangue in frappé di cuori, il più possibilmente giovani. In questa landa desolata dove vive-non vive, avviene un ultimo balletto fra i figli che cercano l'eredità di un non-morto, servitori fedeli e una suora cattolica, giunta fino a lì per esorcizzarlo, non si sa bene perché. Annegando il film in un inutile bianco e nero, incipriandolo con una colonna sonora continua e invadente, Larraìn racconta una storia che non decolla mai, lasciando certo alcuni spiragli aperti sulla riflessione politica, passata e futura, ma soprattutto annoiando: un film inerte, misterioso e inconcludente, che necessita di un'ottima conoscenza della Storia cilena più o meno recente. Così com'è è un vago film di vampiri, metaforizzato e non riuscito. Peccato, Larraìn sa fare molto meglio di così: forse il marchio Netflix, sulla cui piattaforma lo potete trovare, non lo ha aiutato. Alla prossima.
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