Regia di Pablo Larrain vedi scheda film
Venezia 80. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Ebbene sì, Pablo Larrain è tornato al Cile, a quello che gli aveva regalato il successo internazionale, ovvero il Cile di Augusto Pinochet. Ma chi si aspetta un fac-simile dei tanti film da lui dedicati al "lungo petalo di mare" rimarrà deluso. Il regista di Santiago ha sperimentato sin dalle origini. Ha utilizzato inquadrature, luoghi e luci per conferire ad ogni suo lavoro un significato preciso. Tetri e disturbanti sono apparsi "Tony Manero" e "Post Mortem"; irradiato dalla luce di una nuova speranza "No - I giorni dell'arcobaleno"; avviluppato dai raggi metallici di un freddo calcolo politico e spirituale "Il club". Pablo Larrain ha giocato con il ritmo della musica in "Ema" e con la sovrapposizione tra reale e immaginario in "Neruda". E, persino nei biopic recenti, ha catturato l'attenzione con una generosa elargizione di simboli ("Spencer") e con una rilettura piuttosto audace di "Jackie". Larrain ha cambiato le carte in tavola anche stavolta. Il suo nuovo film è piuttosto atipico benché fedele al suo credo.
"El conde" è Augusto Pinochet. Cosi amava farsi chiamare il dittatore per dimenticare le proprie umili origini. Giurò la fedeltà dell'esercito a Salvador Allende ma pochi giorni dopo si rimangiò la promessa. La sua resistenza morale fatalmente si incrinò. Augusto Pinochet fu spietato e per molti anni governò il paese nel terrore arricchendosi alle spalle del propri concittadini. Questo è il Pinochet dei primi film di Larrain. Quello di "El conde", però, è diverso. Il nuovo Pinochet, raccontato da una voce off, tanto cerimoniosa quanto familiare, è un vecchio vampiro in cerca di uno scopo.
Quando una serie di orribili omicidi scuote la capitale, la famiglia Pinochet, preoccupata di perdere l'anonimato faticosamente riconquistato, si riunisce nel rifugio che il "Pinocho" condivide, in gran segreto, con la moglie Lucia Hiriart sin dal giorno della sua presunta "dipartita". I cinque figli sono preoccupati che il vecchio vampiro voglia tornare a caccia anziché consumarsi lentamente. Santa Madre Chiesa li aiuta inviando, dietro lauto compenso, un'irreprensibile esorcista/contabile che ha il compito di mettere ordine alle finanze segrete del generale e portare pace duratura all'animo della pecorella perduta. Un fedelissimo di Pinochet ed un ospite inatteso complicano, tuttavia, i piani familiari di ripartizione del patrimonio mettendo a repentaglio il rito purificatore.
"El conde" inizia come un lugubre film di vampiri e, spremuta dopo spremuta, cadavere dopo cadavere, si tramuta in una satira sferzante che non risparmia proprio nessuno. Doña Lucia tiene in vita il marito con un bicchierino "corretto" restando in attesa del morso agognato; il fido maggiordomo si sbatte la padrona di casa desiderando, probabilmente, di ricevere l'amore carnale del proprio generale; i figli si consumano nell'attesa di ripartire il tesoro occulto del padre; la suorina, infine, lotta a colpi di "pater noster" per non cedere alla tentazione del diavolo dai canini appuntiti.
Per tradizione il vampiro succhia il sangue allo scopo di sopravvivere nei secoli e per tradizione ogni nuovo morso, che non doni la morte, è un morso che regala l'eternità. Tale privilegio richiede sacrifici che plachino la continua sete di immortalità. Come il sangue fluente esce dalla giugulare in fiamme, la metafora del potere si espande come un liquido denso e ferroso tra le immagini bicromatiche che ritraggono una società cilena vecchia, senza più sangue, senza più nerbo, sfiancata dalla dittatura, dalla paura e dal neoliberismo. Una società che assomiglia pienamente alla famiglia che l'ha governata e derubata per anni. Egoista ed insensibile. Larrain suggerisce quanto Pinochet sia un tiranno la cui fame è stata saziata dalla repressione e dalla morte sistemica degli oppositori politici. Egli è un vampiro in quanto espressione di un sistema coercitivo e repressivo che l'ha tenuto in vita per anni garantendogli potere, danaro e assenza di rivali politici. Ogni leader che abbia mantenuto lo scettro spargendo violenza è un vampiro e la violenza riversata sul popolo è il sangue che alimenta il corpo putrido del potere.
Per spiegare tutto ciò, e per dimostrare il susseguirsi di uomini avidi, corrotti e spietati, che hanno governato i popoli negli ultimi tre secoli, Pablo Larrain si è servito della metafora del vampiro. Le origini settecentesche di Pinochet raccontano una storia di sadismo rigenerata nel sangue, nel tempo e nello spazio. E ancora Larrain ci suggerisce che Bautista, Pinochet, Marcos e tutti gli altri tiranni siano "vampiri" assetati di sangue che sopravviveranno in corpi nuovi protesi a raggiungere i medesimi obiettivi con simili mezzi.
Larrain alterna immagini insostenibili ad altre simboliche e poetiche. Il mantello volteggia minaccioso sui cieli della capitale evocando i tempi cupi della dittatura che offuscava con la sua ombra opprimente la società cilena. Il ballo etereo della giovane Carmencita assomiglia ad un atto di libertà consumato dopo un gesto di ribellione verso la chiesa avida e collusa. Ma forse quel volo, appena abbozzato, parla di un amore puerile e incontrollabile per un ideale sbagliato di potere e fascino maschile.
Il film di Larrain è stato insignito a Venezia del premio per la miglior sceneggiatura. Non c'è dubbio che il soggetto valga questo riconoscimento. Una seconda visione potrebbe aiutare ad apprezzare una sceneggiatura che a tratti sembra perdere qualche colpo.
Il mondo in bianco e nero ricreato da Larrain e dal fotografo Edward Lachman è, invece, meraviglioso. Puzza di vecchio e polveroso come un'era politica da tempo dimenticata. L'aere è attraversata dal volo planato di un cappotto di orrori mentre le acque sono solcate da un coro illibato di suore bianco vestite che incrociano una zattera di avidità e peculato. Meravigliosa è la colonna sonora che spazia tra il moderno e il repertorio classico.
Benché la tragedia del Cile riviva solamente nelle confessioni dei figli, complici al più di reati di indebita appropriazione e corruzione, Pablo Larrain ci lascia con un finale corrosivo e pessimista che vale quanto la rappresentazione di una carneficina. Al fianco di cotanta madre cresce un piccolo mostro. Un nuovo Pinochet? La storia ce lo dirà. Intanto l'uscita di "El Conde", a ridosso del cinquantesimo anniversario del golpe militare dell'11 settembre 1973, potrebbe innescare il dibattito su cui si regge la democrazia. Un dibattito che potrebbe, quanto meno, tardare la crescita dell'infausto bambino.
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