Regia di Wang Xiaoshuai vedi scheda film
In Cina, oggi, una bicicletta è ancora un bene di lusso, uno status symbol. Magari farà sorridere qualche occidentale, ma correre dietro a un ladro, da quelle parti, ha ancora un senso. Uno dei (tanti) motivi per andare a vedere questo autentico rifacimento del capolavoro di Vittorio De Sica, sta appunto nel sorprendersi basiti, nell’essere testimoni di un mondo che, seppur ravvicinato rispetto al passato, è ancora lontano e misterioso ai più. Wang Xiaoshuai, giovane (classe 1966) della “sesta generazione”, propone uno sguardo nudo e crudo della Pechino contemporanea, contrapponendosi nettamente al “tocco europeo” di autori della generazione precedente (come Zhang Yimou, per esempio). A Wang non piacciono i colori ricercati, le angolazioni eleganti, le atmosfere che piacciono molto ai frequentatori di festival. Prende la cinepresa e si butta nei vicoli, nelle strade, nei meandri di quella Cina non ufficiale che fa tremare i polsi ai politici (che infatti non gli hanno dato un soldo). Una pellicola letteralmente indipendente, che grida con orgoglio la sua totale autarchia. Per fortuna a Berlino 2001 se ne sono accorti e lo hanno ampiamente premiato (Gran Premio della Giuria e Orso d’argento ai due impressionanti protagonisti). Se a Natale non saprete cosa fare e avrete voglia di un bagno di verità a tratti genialmente reinventata, “Le biciclette di Pechino” è il vostro film.
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