Regia di Matt Ruskin vedi scheda film
Un Mindhunter, non Manhunter, in miniatura, sorretto dal talento della fotogenica Knightley sempre più magra. Così così. Non perturba sin in fondo e non colpisce allo stomaco veramente.
Ebbene, oggi recensiamo l’inquietante, intrigante e affascinante, sebbene forse non appieno convincente, Lo strangolatore di Boston (Boston Strangler), corposo e sanguinario, teso e avvincente thriller dalle forti tonalità noir e poliziesche, scritto e diretto dal regista Matt Ruskin. Dal 17 marzo scorso, distribuito in streaming, su Disney+.
Lo strangolatore di Boston, da non confondere con l’omonima pellicola del ‘68 di Richard Fleischer con un grande Tony Curtis. Quest’ultimo film, differente nella trama, eppur vertente, parimenti a tale pellicola da noi presa in questione e nelle seguenti righe disaminata, così come intuibile e comprensibile facilmente dal titolo, sul tristemente celebre e macabro assassino seriale di nome Albert DeSalvo. Per anni, DeSalvo fu, peraltro, l’ossessione “proibita” di Brian De Palma (Black Dahlia) che, vanamente, tentò di realizzarne un biopic riguardante i suoi mostruosi delitti brutali e glacialmente efferati. Discretamente accolto dall’intellighenzia critica statunitense, riscuotendo infatti un buon ma non del tutto lusinghiero responso sul sito aggregatore metacritic.com, esattamente equivalente al 60% di opinioni favorevoli, Lo strangolatore di Boston dura un’ora e cinquantadue minuti e, negli States, è stato vietato ai minori di sedici anni per via d’alcune sue scene altamente perturbanti e raccapriccianti. Sintetizzandovene, fin all’osso, la cronachistica trama, tale pellicola percorre l’iter indagatorio, in merito per l’appunto al serial killer succitato, della coriacea e volitiva, inarrendevole giornalista, realmente esistita, Loretta McLaughlin (un’eccellente Keira Knightley).
Colei che, per prima, in un’epoca dominata dal potere maschile, ebbe il coraggio d’addentrarsi all’interno e all’inferno dei meandrici anfratti d’una vicenda tanto oscura quanto aberrante e scabrosa. La McLaughlin, infatti, fu la prima donna e persona, in assoluto, a riuscire pian piano, in virtù della sua ferrea abnegazione infermabile e del suo fiuto infallibile, a collegare tutti gli omicidi avvenuti e commessi da DeSalvo, detto Boston Stangler, svelandone l’identità.
Un lavoro, il suo, arduo, assai rischioso e improbo, ivi romanzatoci da Ruskin e filmicamente espostoci con eleganza e puntiglio impeccabili. Prodotto da Ridley Scott, meravigliosamente fotografato da Ben Kutchins e sostenuto dalla magistrale prova recitativa della Knightley, Lo strangolatore di Boston possiede un buon ritmo incalzante malgrado le sue numerose parentesi al chiuso (perlopiù, infatti, si svolge fra le anguste e impolverate pareti degli uffici), appassionandoci e tenendoci col fiato sospeso dall’inizio alla fine. Le atmosfere cineree e plumbee sono congeniali, trasudano tensione e spettrale senso mortifero e la bravura del cast ne elevano la qualità. Fra un Chris Cooper (Il momento di uccidere, American Beauty) egregio nei panni del sulfureo, duro ma saggio, caporedattore di Loretta, Carrie Coon in quelli della sua miglior amica, Alessandro Nivola (Wizard of Lies) che incarna, con recitativa sapidità, il detective Conley, Bill Camp (The Night Of, Joker) nell’oramai usuale ruolo del commissario, stavolta di nome McNamara, Morgan Spector in quello del marito amorevole e accondiscendente, paziente di Loretta e, naturalmente, David Dastmalchian, dapprima ripreso solo di spalle, in quello dello strangolatore che, finalmente, viene rivelato in volto soltanto a tre quarti d’ora dalla fine. Ma è solo lui il colpevole degli strangolamenti? Chi sono i suoi due “amici” Daniel Marsh (Ryan Winkles) e George Nassar (Greg Vrotsos)?
Altresì, è assai difettoso e presenta momenti decisamente, se non del tutto soporiferi, perlomeno superflui, perdendosi in alcune futili digressioni poco funzionali alla vicenda raccontataci.
Inoltre, a prescindere dalla sua stupenda nitidezza formale, la trama presenta pochi snodi e segue una monotona linearità alquanto prevedibile, non distinguendosi quindi per spiccata originalità. Ricordando, troppo spesso, sicuramente il film preso a modello ispirativo, ovvero Zodiac di David Fincher, attingendo peraltro, in versione compressa, allo stesso Mindhunter.
di Stefano Falotico
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