Regia di Giovanni Columbu vedi scheda film
Lasciato una notte intera solo nell'ovile di famiglia dalla madre impegnata a terminare il proprio lavoro in un panificio, il settenne Giosuè Solinas assiste fortuitamente al furto di cinque cavalli compiuto da tre ladri ai danni di un pastore. Seppur intimidito dal capobanda, Pietro Lampis, che minaccia di tagliargli la gola se non terrà la bocca chiusa, il ragazzino è costretto dal derubato, Antonio Flores, a rivelargliene l'identità: quindi questi insegue e raggiunge il terzetto di delinquenti ottenendo indietro parte del bestiame, mentre l'altro, imbufalito per il fallimento del colpo, decide di farla pagare al bambino mantenendo, tra il disappunto dei due compagni, la terribile promessa fatta. Così, quando l'indomani la madre Lucia ed il fratello maggiore Oreste tornano all'ovile per riportarlo a casa, lo trovano esanime, morto dissanguato dopo esser stato sgozzato come un maiale.
Nel trasporre in immagini il romanzo Arcipelaghi di Maria Giacobbe, il regista e sceneggiatore Giovanni Columbu inizia dalla fine, ossia dal tribunale di Nuoro e dal processo che vede imputato lo stesso Oreste, accusato, appena quattordicenne, di aver ucciso l'uomo che, coperto dall'acquiescenza dei compaesani e dall'immobilismo degli inquirenti, aveva posto brutalmente fine alla vita del piccolo Giosué riuscendo a farla franca. Columbu rinuncia dunque ad una narrazione lineare azzardando un montaggio irregolare e coraggioso che dà profondità ad una messinscena altrimenti a rischio di respiro televisivo, ed affida la ricostruzione degli eventi ai racconti dei testimoni, procedendo a piccoli passi e concedendosi depistaggi, riuscendo a mantenere vivi l'interesse il ritmo e la tensione fino all'esauriente chiusura del cerchio.
Girato ad Ovodda, in pieno entroterra sardo, Arcipelaghi descrive le fasi dell'elaborazione del lutto - i sensi di colpa per l'abbandono, la vana ricerca di giustizia, il calcolo freddo della vendetta - da parte di una donna (e del figlio rimastole - l'altra bambina è forse ancora troppo piccola per comprendere fino in fondo) che, volente o nolente, è parte integrante di un sistema fondato sull'omertà, in cui il parroco invita a perdonare e guardare avanti (o meglio, altrove), in cui la polizia si chiama subito fuori invitando ad indagare autonomamente, in cui tutti sanno tutto ma si guardano bene dal dirlo apertamente, in cui chi ha visto qualcosa (il figlio del pastore, imbavagliato dai ladri durante il furto) tace accettando di buon grado la reputazione da codardo, e in cui lo stesso dibattimento in aula sembra più una recita che un atto giuridico teso ad individuare delle responsabilità penali.
Recitato in lingua sarda da attori non professionisti (tra i quali spicca per efficacia la protagonista Pietrina Menneas), Arcipelaghi è l'istantanea di un mondo accartocciato su sé stesso, di una terra ferma ed immobile in cui ogni individuo è un'isola incapace di comunicare con le altre, chiusa, limitata, controllata, osteggiata e circoscritta da un mare magnum fitto di segreti, silenzi complici e verità di facciata.
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