Regia di Stéphan Castang vedi scheda film
La premessa è molto interessante, però il meccanismo si fa man mano ripetitivo e il film rimane presto bloccato lì: non si sposta dall’assunto. A fine visione rimane solo quel bell’affondo di marcio disgusto che è la scena della lotta nel fango. Il resto è fiaccamente emulativo di tanto, troppo cinema apocalittico che altrove ha saputo raccontare ben meglio problemi e disagi sociali. Problemi che in questo caso si sintetizzano in una metafora del COVID e dell’isolamento da lockdown. Non è però occhieggiando alla contemporaneità che il film riesce a instaurare un dialogo con la stessa. Questo principalmente perché quando la storia sembra andare incontro a una tardiva catarsi, il corollario tematico è sostituito da un’improvvisata e grottesca love story che sposta il discorso dalla collettività al singolo. La prefigurazione di cui “Vincent deve morire” si fa portavoce è superficiale (dopo la pandemia, la società si è barbarizzata e imbruttita. Ma davvero?), non pertinente e abbozzata e a poco valgono quelle sporadiche sequenze che risvegliano la coscienza cinefila dello spettatore più attento (Vincent che scappa dal supermercato inseguito dall’orda: un frammento di romeriana memoria).
Il film di Stéphan Castang è lento; un blando termine valido per commenti disimpegnati, ma inteso in questo contesto come inerzia al ritmo della narrazione, come mancata progressione di un racconto che non decolla. E si badi che non è una questione di genere/i (la commedia horror è da sempre un terreno impervio), quanto di compattezza del costrutto.
Alcuni l’hanno trovato acuto; per il sottoscritto sono 108 lunghi minuti che non valgono il tentativo.
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