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Anatomia di una caduta

Regia di Justine Triet vedi scheda film

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La recensione su Anatomia di una caduta

di Peppe Comune
8 stelle

Sandra (Sandra Huller) è una scrittrice di successo che da un po’ di tempo si è trasferita da Londra in una isolata località sulle Alpi francesi. Lo ha fatto per assecondare la volontà del marito Samuel (Samuel Theis) di trovare nella tranquillità montana l’ispirazione perduta per il suo lavoro di scrittura. Insieme a loro vive Daniel (Milo Machado Graner) il figlio ipovedente di undici anni. Un giorno il corpo di Samuel viene trovato sul terreno innevato della casa. Probabilmente è caduto dall’ultimo piano, dalla finestra del suo studio. I due erano soli in casa e questo fa di Sandra la principale indiziata al processo. Anche perché il marito era solito registrare ogni cosa per prendere spunti per il suo lavoro, ed in una di queste registrazioni si sentono i due litigare violentemente. Era il giorno prima della caduta. 

 

Milo Machado Graner, Sandra Hüller, Swann Arlaud

Anatomia di una caduta (2023): Milo Machado Graner, Sandra Hüller, Swann Arlaud

 

Una caduta può tingere di mistero la ricostruzione di una morte. La morte può far vedere da prospettive inconsuete i connotati di una vita intera. Nella vita che scorre le cose che accadono possono non rappresentare l’effettiva realtà dei fatti. Mai nulla è come sembra in “Anatomia di una caduta di JustineTriet (Palma d’oro a Cannes), un film che riflette sulla fallacità insita in ogni forma di rappresentazione e sulla rappresentazione del reale come modalità che ognuno ha a disposizione per potersi rapportare con essa. L’ambientazione (quasi interamente) in unaula di tribunale e lo sviluppo della storia incentrato sull’iter processuale che ne consegue, sarebbero ingredienti sufficienti e necessari per fare del film un “legal-thriller”. Ma ben al di là dell’univoca applicazione di un genere, credo che “Anatomia di una caduta” si caratterizzi per la centralità data soprattutto al come intende speculare sullo stato delle cose attraverso i suoi contenuti linguistici e narrativi. Detto altrimenti, il come è più importante del cosa e la precisione geometrica della regia, il rigore calcolato della messinscena, la fotografia “in bianco” volutamente asettica, tutti elementi tesi a generare più distacco che empatia con i personaggi, sembrerebbero confermare quest’idea. 

La presenza/assenza del marito, la cecità del figlio, le voci e i suoni riprodotti continuamente, sono gli ingredienti più importanti del film, quelli che fanno l’essenza poetica della storia e che iniettano uno stato di tensione latente lungo tutto il suo sviluppo. Credo infatti che la forza di “Anatomia di una caduta”, ciò che lo innalza ad opera dagli evidenti contenuti speculativi, stia nel fatto che è incentrato su una storia che si compie nel mentre la determinazione della verità processuale ci catapulta dentro il confine non sempre definibile tra la realtà e la sua rappresentazione.  

A riprova di quanto detto sulle finalità speculative indicate, vanno messe in evidenza due aspetti tra loro, ovviamente, collegati. 

Primo, l’ambientazione. Non è affatto un caso che il cuore della messinscena sia l'aula di un tribunale, il luogo dove la ricostruzione della verità avviene tramite elementi probatori tutti da verificare, ognuno dei quali, per forza di cose, non può che fornire solo una fotografia parziale del tutto. I tradimenti omossessuali di Sandra, l’incidente d’auto di Samuel che ha provocato la cecità di Daniel, i risentimenti della donna per aver dovuto lasciare Londra, le gelosie dell’uomo del successo editoriale della moglie. Sono tutti fatti che appartengono alla vita di coppia di Sandra e Samuel, elementi che pur rimanendo lontani dallo svolgersi dell’azione contribuiscono a dare linfa vitale alla narrazione per il solo fatto di generare l’equazione sottintesa che un matrimonio che presenta delle ombre può anche trasformarsi in un matrimonio che produce un uxoricidio.

“Sono le nostre voci ma non sono non siamo realmente noi”, dice però emblematicamente Sandra, che a chi gli chiede di dar conto dei suoi rapporti col marito dopo che si è ascoltato una loro conversazione non proprio pacifica, con queste parole tende appunto a sottolineare che il tono della voce fotografa uno stato emotivo particolare ed è testimone solo di quel momento, ma non dice tutto quello che ci può essere in un intero rapporto di relazione. 

Secondo, la tecnica di regia. JustineTriet da risalto a due strumenti cardine della grammatica cinematografica : il linguaggio del fuoricampo e l’uso diegetico del sonoro. Due elementi complementari che nel sollecitare l'immaginazione rispetto a ciò che sta oltre il vedibile danno un'impronta a quel rappresentato non necessariamente allineato alle forme effettive del reale. 

Rispetto al fuoricampo, la regia dell'autrice francese lavora per generare una palpabile condizione di incertezza, tesa com’è ad evocare sempre qualcosa che avviene o che avverrà altrove e che con lo sviluppo del narrato mantiene sempre un legame contingente. Non è solo la presenza/assenza del marito ad agire come fuoricampo attivo nell'economia del film, ma anche il rapporto con Sandra che ne consegue, che nella ricostruzione processuale, necessaria per misurare il grado di effettiva colpevolezza della donna, mette le persone presenti nell’aula del tribunale (membri della giuria o gente comune che sia) e chi guarda il film nella stessa condizione di osservazione : quella di essere indotti a farsi un'idea più riferendosi a delle sensazioni che scaturiscono dal non visto, che attingendo alla compiutezza di qualcosa di tangibile primariamente allo sguardo. Si aggiunga, inoltre, che la donna dichiara di aver scritto solo romanzi di finzione anche se per ognuno di loro ha sempre preso spunto da fatti di vita personale realmente accaduti. Il marito, invece, sempre per cercare spunti possibili per un eventuale romanzo, aveva preso l’abitudine di registrare ogni dialogo. Ecco, Justine Triet fa volontariamente risaltare le presenze di quei filtri che si pongono oltre il rappresentato nel mentre diventano essi stessi veicolo privilegiati della rappresentazione del reale. 

Rispetto, invece, alla gestione del sonoro, l'autrice francese gli affida un ruolo di primissimo piano conferendogli di fatto una veste materica, capace di orientare le forme del rappresentato per il fatto stesso di imporsi come soggetto principale della messinscena. Assai emblematica è tutta la prima scena del film. Sandra e seduta in salotto in compagnia di una giornalista che gli sta facendo un'intervista. Ad un certo punto, dal piano di sopra, si sente arrivare una musica assordante che ci impiega pochissimo per riempire la casa e a dominare la scena. Da dove arriva precisamente la musica ? Chi ha acceso lo stereo preferendo ascoltarla ad un volume così alto ? Le domande nascono spontanee allo spettatore che guarda (ecco il fuori campo attivo), che incomincia a mettere tutto in secondo piano per concentrarsi solo sulla presenza invasiva e immateriale insieme del sonoro. E finisce per essere partecipe della stessa sensazione di fastidio che prende corpo nelle due donne, costrette ad interrompere la conversazione perché è impossibile andare avanti. 

Durante il processo, Sandra preferisce parlare in inglese per essere più padrona delle parole che usa e per ridurre al minimo la possibilità di essere equivocata. Il figlio ipovedente, invece, si affida all’udito per farsi un’idea, non solo su quanto è accaduto al padre, ma anche su quanto sia sincera la madre e su quello che ne sarà del loro rapporto filiale. Altri elementi della narrazione usati dalla regista francese per fare della voce il veicolo di sensazioni che si percepiscono solamente ma che pretendono di rappresentare il reale. 

Quasi come se si trattasse della sintesi più appropriata rispetto a tutto quanto scritto finora, credo valga la pena di ricordare una sequenza di importanza vitale nel determinare il carattere speculativo del film. Nell'aula del tribunale viene fatta sentire la registrazione del violento litigio tra Sandra e Samuel. La giuria e il pubblico presenti in aula possono farsi un’idea su quanto è accaduto affidandosi solo all’ascolto. Allo spettatore del film viene concesso il privilegio di vedere anche i due coniugi litigare in cucina. Ma solo fino a un certo punto, perché proprio quando le voci e i rumori restituiti dalla registrazione sembrano denunciare la degenerazione del litigio, anche chi guarda il film è invitato ad affidarsi solo al fuori campo attivo del sonoro per farsi un'idea dell’accaduto. Cosa lasciano immaginare il tono della voce e il fragore dei rumori indistinti ? Chi ha fatto cosa ? Ma soprattutto, un litigio del giorno prima può spiegare una caduta colposa ? Queste sono le domande che rappresentano il cuore pulsante del film e che trovano (e mi ripeto) nel linguaggio del fuori campo e nell'uso diegetico del sonoro il modo di trovare delle adeguate soluzioni visive. 

In conclusione, “Anatomia di una caduta è un grande film che porta a riflettere sul grado di adesione che i sensi possono avere della realtà e su quanto la rappresentazione del reale ne possa alterare la corretta percezione. E in un tempo storico dominato dalla pervasiva presenza delle immagini in ogni modo trasmissibili, è un bel invito 

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