Regia di Justine Triet vedi scheda film
Il titolo del film non potrebbe rispecchiare meglio ciò a cui andremo ad assistere: una minuziosa disamina di una morte per caduta, volontaria o causata. Quello che imbastisce la Triet è un film di una psicologia complessa, dove un accadimento luttuoso fa da pretesto per una lunga, (troppo, vizio ormai deprecabile del Cinema di oggi), elaborazione dell'evento, sotto vari punti di vista: dal rapporto di coppia, alla ricaduta penale, giuridica, esistenziale e mediatica. L'escamotage è poca cosa: una coppia con un figlio ipovedente, che abita in una baita, dove un giorno viene ritrovato morto il marito/padre, caduto dall'ultimo piano: suicidio o omicidio? Dal ritrovamento del cadavere in poi, il film diventa una specie di "Un Giorno In Pretura", con tesi e controtesi, processo, guerra di avvocati e, quello che dà il sale all'opera, una profonda analisi del rapporto di coppia, fino ai particolari più intimi e dolorosi. Da qui il cortocircuito madre/figlio e tutte le implicazioni, anche sociali. Un film molto complesso, per gente dalle spalle cinematografiche larghe, che ha la forza in attori straordinari, perfettamente calati nelle loro parti, difficilissime. Un'opera quasi teatrale, di due ore e mezza, capace comunque di coinvolgere, quantomeno per capire come va a finire la vicenda, anche se ci sono lungaggini inutili. Vincitore a Cannes 2023 e candidato a due Premi Oscar. Cinema di altissima qualità ma impegnativo: io vi ho avvertito.
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