Regia di Justine Triet vedi scheda film
Un uomo (Theis) viene trovato morto sulla neve, davanti allo chalet sulle Alpi francesi dove abita con la moglie (Hüller, strabiliante) di origini tedesche, scrittrice di successo, il figlio ipovedente e un cane. Una caduta accidentale? Un suicidio? Un omicidio? È su quest'ultima ipotesi che si dirigono le indagini, giacché la neovedova era l'unica persona che, al momento della morte, si trovava in casa. Chiamato al suo fianco un avvocato che è un suo ex spasimante (Arlaud), per la donna comincerà una lunga avventura nelle aule di giustizia. Per suo figlio - convocato sul banco dei testimoni - sarà l'occasione per scoprire quali fossero i rapporti tra i genitori.
Vincitore della Palma d'oro al Festival di Cannes, il film di Justine Triet (alle spalle opere mediocri - sempre declinate al femminile - come Tutti gli uomini di Victoria e Sibyl - Labirinti di donna) usa l'espediente thriller come prisma attraverso il quale scandagliare i rapporti di coppia, il non detto che deflagra nelle recriminazioni reciproche (come nella magnifica scena che sta al centro dell'opera), meschinità e sotterfugi. La caduta del titolo è, di fatto, quella di un rapporto di coppia le cui scene da un matrimonio vengono raccontate senza alcuna partecipazione emotiva verso gli adulti, ma implicitamente ad altezza di bambino (lo straordinario undicenne Milo Machado Graner), la vera vittima della vicenda. Giocato sul filo del doppio (il bilinguismo, la bisessualità, il successo e l'insuccesso letterario), il film della regista transalpina potrebbe far urlare al capolavoro se non fosse che le due ore e mezza di durata raccolgono anche alcuni momenti pletorici e qualche gratuità narrativa, come il rapporto irrisolto dell'avvocato con la sua assistita, l'incontenibilità del pubblico ministero in aula e una scena che coinvolge il cane, rispetto alla quale i titoli di coda ci assicurano che il quadrupede non ha subito maltrattamenti. Sarà vero?
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