Regia di Justine Triet vedi scheda film
Cinema d'autore al femminile che fa giustamente parlare di sé, "Anatomia di una caduta" ha vinto una Palma d'oro molto più meritata rispetto agli ultimi film che l'hanno preceduto sul podio di Cannes e pone all'attenzione dello spettatore medio il profilo di una brava regista, Justine Triet, tutta da scoprire. Il film va visto con attenzione ma non va assolutamente spoilerato sulla trama, si tratta di un'opera che scava nelle crepe di un matrimonio e di una famiglia disfunzionale con una lucidità per molti versi ammirevole, un thriller essenzialmente psicologico che ad un certo punto prende le fattezze del cosiddetto "film processuale", con lunghe scene in tribunale estremamente verbose, e forse la lunghezza della parte processuale può rappresentare un eventuale limite dell'opera. Si sono fatti molti nomi, qualcuno ha citato Haneke, non a torto, ma io ci trovo soprattutto un riferimento al Bergman di "Scene di un matrimonio" e altri suoi film da camera, dove il dialogo viene ad assumere una notevole importanza. La Triet ha comunque un suo stile ben definito, una matura consapevolezza nelle scelte figurative e un tocco molto personale nella direzione degli attori. Qui la Triet insieme al cosceneggiatore e suo compagno nella vita Arthur Harari, che fa un cameo come ospite di un talk show televisivo, offre alla tedesca Sandra Huller uno dei personaggi femminili più densi, tormentati e meglio scritti degli ultimi anni. La Huller offre una performance eccezionale, reggendo quasi tutto il peso del film sulle sue spalle e scendendo davvero in profondità nella caratterizzazione, soprattutto nelle scene di testimonianza in tribunale, ma anche in alcuni momenti più quotidiani e intimi con il figlio e con l'avvocato difensore che ha un interesse sentimentale nei suoi confronti. A mio parere la Triet si pone su una linea di cinema "esistenziale" e le interessa soprattutto il doloroso scandaglio nelle anime dei personaggi, mentre la cornice del genere è soltanto un pretesto, per quanto il film finisca per assumere quella fisionomia che, data anche la lunghezza non indifferente di due ore e mezza, gli fa perdere qualche punto in termini di efficacia, pur restando a tutti gli effetti un ottimo film. Nel cast, oltre alla grandissima prova della protagonista, si segnalano le buone prestazioni di Swann Arlaud nella parte dell'avvocato, del giovane Milo Machado Graner nella parte del figlio e di Samuel Theis nella parte del marito, che appare in pochi flashback, ma la scena del litigio è senz'altro la più forte e disturbante di tutto il film. Si tratta di un film bilingue a tutti gli effetti in cui l'inglese è parlato quasi sempre dalla protagonista, che andrebbe visto in lingua originale perché nella versione italiana il bilinguismo non è stato reso in maniera del tutto fedele.
Voto 8/10
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta