Regia di Justine Triet vedi scheda film
Ci sono più cose tra la terra e il cielo...
Di quante evanescenti tonalità sia condito un rapporto di coppia, contrasti, rivalità, antagonismi, distanze e vicinanze, lotte giornaliere di sopravvivenza, non lo sapremo mai, è come chiedere alle onde del mare di tornare indietro.
Samuel e Sandra sono, tra poco erano, una coppia borghese con figlio, Daniel, nove o dieci anni, ipovedente a causa di un incidente, forse, chissà, provocato dal padre.
Lei scrive romanzi di successo, pare autobiografici, ma lei nega che lo siano, lui, in qualche flashback, lo afferma.
Lui ha il blocco dello scrittore, lei si è appropriata di un tema interessante del suo libro rimasto incompiuto. Lui (sempre in flashback) glielo rinfaccia, lei gli ricorda che gli aveva chiesto il permesso. E via di questo passo non manca neppure il richiamo doloroso all’incidente, all’educazione del figlio, alle sue cure di bambino (peraltro dolcissimo) che avrebbe bisogno di entrambi i genitori amorevoli.
Per finire, il trasferimento dalla città (Grenoble) in un comodo chalet sulle Alpi francesi dove, “tra monti e valli d’or”, a lui sarebbe dovuta tornare l’ispirazione. Le finanze si sono prosciugate e, ciò che più conta, a lui non è tornata l’ispirazione per cui, nel frastuono di una musica che sega le cervella, si butta giù dal terzo piano sfracellandosi sulla neve candida.
Particolare forse trascurato dal pubblico ministero che accusa di omicidio la moglie, il volo avviene da una finestra perfino scomoda da aprire, non da un balcone con bella ringhiera.
Come avrebbe potuto lei spingerlo giù se non convincendo lui a buttarsi di sotto?
Detto questo, ci si ritrova in mezzo ad un’indagine processuale che è un capolavoro per capire una verità fondamentale: stare alla larga dai tribunali.
La povera (per modo di dire, anche lei ha le sue belle responsabilità) Sandra è messa sul tavolo del laboratorio e dissezionata, nulla sfugge al massacro, ci sono belle registrazioni di litigi violenti col marito che aveva il vizietto di fare questa cosa assurda, ma nella coppia può succedere, prendiamo nota a futura memoria.
Justine Triet ha una capacità formidabile di parlare dell’ambiguità della vita, delle certezze incrollabili che cadono in frantumi, dell’essere e dell’apparire in eterna competizione. La verità finisce là dove ne appare un’altra più convincente, chi abbiamo di fronte è carnefice o vittima?
Un film dalla sceneggiatura robusta, di forte eloquenza nel parlare di pieghe insondabili, i continui primi piani sul volto di lei e del figlio sono un’escavatrice che penetra nel loro intimo.
Le problematiche del mondo contemporaneo ci sono tutte, l’istanza femminista che rivendica il posto della donna nella società degli uomini, l’infanzia violentata, la rincorsa al successo, al primato, all’esserci, l’opulenza borghese che nasconde crepe sotterranee, ma tutto è filtrato nella filigrana di un racconto alla Hitchkoch, dove tutto è rimesso continuamente in discussione.
Il ragazzino ipovedente indicherà la strada, in finale, solo lui saprà restar fuori dalle inconcludenti strettoie della vita e vedere oltre. Si può chiamare amore? Certo che sì.
Il Preludio di Chopin, E minor n.4 op. 28, che spesso Daniel suona al piano, ci segue fino ai titoli di coda con la sua dolcezza dolorosa
Palma d’Oro a Cannes 2023.
www.paoladigiuseppe.it
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