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Anatomia di una caduta

Regia di Justine Triet vedi scheda film

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La recensione su Anatomia di una caduta

di inthemouthofEP
9 stelle

Algido e conturbante: un film che ti lascia letteralmente senza fiato. Un capolavoro.

Anatomia di una caduta.

Ovvero: come un gesto trinciante e irreversibile, apparentemente determinato da un cieco momento di follia, nasconda in realtà le sue origini in un passato di fraintendimenti, di dolori, di liti, di violenza. 

Anatomia di una caduta.

Ovvero: come una coppia che ostenta una facciata felice e sfavillante nasconda in verità al suo interno segreti e questioni mai pienamente risolte, che erodono la complicità trasformandola in rivalità, che distruggono la serenità trasformandola in depressione.

Anatomia di una caduta.

Ovvero: come i segnali della tragedia siano presenti tra le righe, ben leggibili sin dall'inizio. Come la tragedia sia soltanto la punta dell'iceberg, soltanto il pelo dell'acqua, e nasconda sotto di sé chilolitri e chilolitri di acqua torbida e foriera di malattie, più simile a un coacervo di vomito che a un limpido oceano.

Anatomia di una caduta.

Ovvero: l'ultimo film di Justine Triet, presentato in concorso alla 76esima edizione del Festival di Cannes, un'edizione molto ricca che ha visto la presenza di nomi eccezionali del calibro di Nanni Moretti e Hirukazu Koreeda, Wes Anderson e Marco Bellocchio, Ken Loach e Wim Wenders. Un film che alla fine ha vinto la Palma d'Oro, sconfiggendo tutti i registi appena citati. Un film che è impossibile non chiamare capolavoro.

 

locandina

Anatomia di una caduta (2023): locandina

 

Sandra e Samuel sono una coppia sulla quarantina da tanto tempo sposata. Lei è tedesca, lui è francese, e in casa parlano inglese. Lei è bisessuale, lui è eterosessuale. Lei è una scrittrice che per i suoi romanzi prende spunto dai momenti più drammatici della propria vita, lui è un docente universitario stufo di insegnare. Lei sa organizzare perfettamente il suo tempo, lui non riesce a combinare più niente nelle proprie giornate, e non perde mai occasione di rinfacciarlo alla moglie.

Entrambi hanno la passione per la scrittura. Ma se per lei scrivere è la cosa più semplice del mondo, forse anche più semplice di respirare, per lui mettere due o tre parole in fila è un peso di una difficoltà unica, tanto che si trova preda di un vero e proprio blocco che lo fa tribolare enormemente.

I due hanno un figlio di 11 anni di nome Daniel, rimasto tragicamente ipovedente a causa di un vecchio incidente di cui Samuel è in qualche modo responsabile. Vivono in Francia in uno chalet di montagna perennemente ricoperto dalla neve - sì, proprio come Shining - e, per far fronte alle loro nascoste difficoltà economiche, stanno ristrutturando le stanze dello stabile per poter avviare un Bed and Breakfast.

Un pomeriggio, Sandra ospita in casa una giovane studentessa di Lettere, intenzionata a farle un'intervista in quanto è proprio sui romanzi di Sandra che la ragazza sta scrivendo la sua tesi di laurea. All'improvviso Samuel, impegnato con la ristrutturazione al piano superiore, inizia volutamente a disturbare la conversazione tra le due mettendo musica hip hop a tutto volume, e facendo risuonare le pareti di tutta la casa con una versione strumentale del brano P.I.M.P. del rapper 50 Cent, una canzone dal beat micidiale e ossessivo. L'intervista non può più compiersi per colpa di questa musica a volume fracassante, dunque la studentessa saluta Sandra, la ringrazia per la sua disponibilità e riparte in macchina.

Una volta terminato questo piccolo episodio molto particolare, il piccolo Daniel va a fare una passeggiata all'aria aperta col fido cane Snoop. Ma quando ritorna a casa scopre che suo padre Samuel non c'è più. Cioè, c'è sempre, ma non può più muoversi. È spiaccicato per terra. Il sangue che sgorga copioso ha colorato di un rosso intenso la neve circostante. Samuel è morto. Verosimilmente è caduto, probabilmente si è suicidato.

Ma sul cadavere di Samuel sono evidenti i segni di una possibile colluttazione, le deposizioni di Sandra e di Daniel presentano varie incongruenze, e viene ritrovata la registrazione di una lite tra i due coniugi di qualche ora precedente alla caduta; tutti questi fattori fanno sorgere a tutti un dubbio esiziale: e se Samuel fosse stato ucciso dalla moglie?

 

Milo Machado Graner, Sandra Hüller, Swann Arlaud

Anatomia di una caduta (2023): Milo Machado Graner, Sandra Hüller, Swann Arlaud

 

La prima scena del film è di una icasticità unica: una palla da tennis rotola lentamente e inevitabilmente giù dalle scale, per poi precipitare sul pavimento ed essere agguantata dal simpatico cagnolino di casa.

Justine Triet mette subito in chiaro tutto: questo film parla di una caduta. Parla di quella caduta vera, concreta e senza scampo del pater familias, che precipita da una finestra per poi morire, ma anche della caduta metaforica di una famiglia che in pace non è mai stata, e che si disintegra completamente appena Samuel tocca terra schiantandosi.

Una pallina da tennis non può essere stata sempre irremovibilmente ferma nel suo stato (evidentemente è stata colpita centinaia e centinaia di volte da racchette di tennisti più o meno esperti, oppure in ogni caso è stata lanciata più volte al cane di famiglia per insegnargli il riporto degli oggetti), esattamente come non è mai stato saldo e sereno il rapporto tra moglie e marito - e di conseguenza quello dei due genitori col figlio, tenuto all'oscuro dei segreti più inconfessabili della coppia.

Dai primi dieci secondi capiamo dunque benissimo quale direzione tematica prenderà il film: la coppia è come una pallina da tennis colpita con forza dai violenti colpi delle racchette, e se ogni tanto gode di uno stato di quiete che coincide con il riposo dei due rivali, in ogni caso questo riposo è solo temporaneo, perché l'essere sbattuta da una parte all'altra del campo di gioco è proprio della sua natura. È una condizione ontologica, un suo carattere prototipico. Così come prototipica è la rivalità tra una moglie e un marito in crisi (Woody Allen insegna). Ed ecco che c'è la caduta, e tutto lo sporco sotto il tappeto inizia a venire fuori, e sia l'ipotesi del suicidio sia quella dell'omicidio appaiono tanto plausibili quanto inquietanti. È a questo punto che inizia il processo contro Sandra, accusata di aver ucciso il marito approfittando di un momento in cui il figlio era fuori casa. 

 

In tutto questo tripudio esistenziale, Justine Triet mette in chiaro anche un'altra cosa: il suo film non vuole rassicurare il pubblico, il suo film deve inquietare, deve spingere alla riflessione. All'interno di questa cornice hitchcockiana, i temi toccati sono diversi e tutti scottanti: l'incomunicabilità bergmaniana all'interno del rapporto uomo-donna, il rapporto di contiguità o di deformità tra verità, ricordo e racconto, la sensibilità del fanciullino di pascoliana memoria ... (tutti argomenti che in questa sede toccherò solo marginalmente: non li posso sviscerare in toto perché mi servirebbe perlomeno qualche mese e dovrei fare spoiler imperdonabili).

Anatomia di una caduta è un film rigidamente perfetto, impreziosito da una messa in scena algida nella sua semplicità e dalla sua disarmante capacità di devastare il cuore dello spettatore, che viene inevitabilmente portato a riflettere sulla psicologia dei personaggi, veri e propri personaggi di una partita di Cluedo terribilmente reale e dolorosa.

Noi spettatori siamo invitati dalla regista a ricostruire i frammenti sparsi dell'anima e delle azioni di Sandra e Samuel, a capire le loro personalità, ad ascoltare le loro liti (con una scena in analessi di potenza inaudita), a comprendere inquietati le motivazioni che l'uno avrebbe avuto di suicidarsi e che l'altra avrebbe avuto di ucciderlo.

Infatti, pur lasciando visibilmente da parte l'azione per concentrarsi su psicologia e dialoghi, la Triet riesce indubbiamente ad affascinare e a tenere lo spettatore incollato allo schermo, lasciando un segno perpetuo nelle coscienze di tutti, marchiandoci a vita proprio come un tatuaggio potrebbe fare. Uno di quelli che non si possono togliere neanche col laser.

 

Sandra Hüller

Anatomia di una caduta (2023): Sandra Hüller

 

Justine Triet si muove  con un'abilità sorprendente tra i generi, realizzando un film intoccabile per forma e sostanza, che strizza l'occhio al giallo, al thriller, al dramma familiare alla Bergman, al legal movie, arrivando a toccare in certe scene una tensione e un'ansia tipica di un film horror (specialmente nella scena del cane a circa mezz'ora dalla fine... chi ha visto il film sa esattamente di cosa sto parlando), riuscendo allo stesso tempo a intrattenere e a far riflettere in modo esemplare.

 

Gran parte della totale ed esaltante riuscita del progetto secondo me si deve alla splendida regia che Justine Triet ci regala, e che secondo me è perfettamente tripartita, e che posso schematizzare in tre "stili" registici diversi che la Triet usa:

1) ALGIDITA' ALLA HANEKE: la quasi totalità del film è fatta di dialoghi abilmente montati con la tecnica del campo e controcampo, oppure di studiate ed elegantissime inquadrature fisse che indugiano voyeuristicamente sul personaggio, specialmente sui monologhi che Sandra recita in tribunale per dimostrare a tutti la propria innocenza sempre più in bilico; inoltre, proprio come nei migliori film del regista austriaco (Funny Games Il nastro bianco su tutti) ciò che è maggiormente inquietante è spesso quello che rimane fuori dall'inquadratura e che risiede nel "non visto", sbaragliando la pretesa positivistica di poter raggiungere alla fine una perfetta ricostruzione degli eventi.

2) MOCKUMENTARY: la regista francese fa un uso molto azzeccato anche di fittizi servizi televisivi (per mostrare il clamore mediatico della vicenda), oppure fa coincidere il suo occhio con i filmati registrati dalla polizia durante le indagini (specialmente nella prima parte), rendendo in qualche punto il film molto simile a un found footage horror a tinte gialle;

3) FOLLIA ALLA LARS: il vero colpo di genio registico sta in questo terzo "stile", che consiste in un uso molto particolare della macchina a mano, e ricorda molto da vicino il mio amato Lars von Trier, il cui Dancer in the Dark, anche in virtù di comunanze tematiche molto significative (il processo a una madre, la cecità...), deve essere stato molto più che una semplice ispirazione per questo film: in pratica parliamo di bruschi movimenti di macchina a mano (con panoramiche spesso a schiaffo, zoom anche molto repentini...), che non coincidono né col punto di vista onnisciente ed esterno del primo "stile" né sono giustificati dalla presenza fisica della telecamera nell'economia della scena (come accadeva invece nel punto 2): dobbiamo ammettere dunque che sono delle soggettive. Ma soggettive di chi? Semplice: sono soggettive dello spettatore, che si trova così a essere presente sulla scena per tutti i 150 minuti di durata del film, costretto dalla (sadica) regista ad arrovellarsi insieme ai protagonisti del film, a odiarli senza remore, immedesimandosi però nella loro sofferenza insanabile.

 

Sandra Hüller

Anatomia di una caduta (2023): Sandra Hüller

 

Il risultato è dunque un film teso e senza dubbio opprimente, cinicamente spietato nel mostrare lentamente il suo dolore inveterato e la sua latente violenza.

La narrazione lenta e frammentata rende sempre più inquietante questa graduale scoperta della verità, che avviene in quella claustrofobica e solenne aula di tribunale in cui Sandra è accusata dell'omicidio del marito, durante quel processo lunghissimo e meraviglioso che il giovanissimo Daniel ascolta nella sua interezza, minando le proprie sicurezze e ritrovandosi così a indagare alla ricerca di una risposta, cercando nei suoi ricordi di bambino quei germi che hanno portato a un evento certo tanto efferato e distruttivo, ma certamente non inaspettato come si poteva credere a una prima, superficiale occhiata.

E anche noi spettatori, insieme con Daniel, ci ritroviamo inermi e totalmente spiazzati di fronte alle varie rivelazioni che si susseguono instancabilmente durante il processo: noi come lui, con le orecchie protese avidamente in avanti, ascoltiamo psicologi, testimoni e criminologi, nella speranza di ricostruire un quadro il più possibile completo e definito di che cosa sia realmente successo in quell'innevato pomeriggio in cui Samuel esalò il suo ultimo respiro... sempre consci però dell'impossibilità di giungere a una verità certa e pienamente accettata.

E tutti questi dubbi e rivelazioni improvvise ci destabilizzano, ci lapidano come se fossimo dei martiri, infilano nel nostro costato una lama e la ruotano dentro al nostro corpo rivoltandoci sghignazzando le carni. I nostri occhi sono quelli ingenui ma sensibili di Daniel, di questo povero ragazzino, dei suoi occhi: quegli occhi già in passato ridotti alla quasi cecità, adesso sono distrutti dal pianto incessante e doloroso, scaturito contemporaneamente dalla morte della padre e dalla certezza di non potersi più fidare neanche della madre, accusata senza pietà e spesso trovata in fallo da un pubblico ministero cavilloso e spietato, a cui fa da contrappunto un avvocato difensore che sembra essere molto vicino a Sandra, forse troppo vicino... 

 

Un plauso ovviamente va anche a tutti gli attori, specialmente a Sandra Huller, attrice tedesca qui nei panni della scrittrice protagonista, ma soprattutto al giovanissimo interprete di Daniel, ovvero Milo Machado-Graner, la cui somiglianza col bambino protagonista di Decalogo 1 di Kieslowski è davvero sorprendente... e probabilmente la regista stessa ne era consapevole, che così facendo ha voluto stabilire un vistoso fil rouge tra i giovani personaggi di queste due opere: sono entrambi due bambini innocenti, curiosi, purissimi d'animo, ma distrutti - seppur in maniera sensibilmente diversa - dagli errori dei propri genitori; due personaggi dolci e sofferenti, che fanno venire le lacrime agli occhi sul viso di qualunque spettatore, capace di rivedersi tanto nelle furibonde liti dei genitori quanto nella candida e minata dolcezza del bambino, soffocato dalla realtà e dalla visione tossica della vita che gli adulti hanno.

Daniel è però anche quasi totalmente cieco, e quei suoi occhi vitrei e spenti non possono non ricordare il personaggio di Emily de L'aldilà di Lucio Fulci, una fanciulla che, pur nella sua cecità, vede la realtà meglio di chiunque altro, così come il nostro Daniel. E sono sicuro che questo modello sia stato tenuto presente da Justine Triet nello scrivere e dirigere questo film: in Francia Fulci è molto amato e conosciuto, sicuramente più che nella nostra penisola, che spesso lo ha denigrato per via di banali e dannosissimi stereotipi sul cinema di genere.

 

Milo Machado Graner

Anatomia di una caduta (2023): Milo Machado Graner

 

Questo è un film potentissimo e necessario. Un film che ci serve: ci aiuta a riflettere sulla debolezza umana, sulla cecità - quella vera, quella dell'animo - che ci opprime e ci porta fino all'ossessione. Un film catartico.

Samuel è caduto, e nessuno era sotto di lui pronto a prenderlo mentre si sfracellava al suolo. Noi spettatori siamo caduti insieme a lui. Ma noi alla fine del film possiamo rialzarci dalle rosse poltrone su cui siamo stati comodamente seduti per 2 ore e mezzo; anzi, dobbiamo rialzarci, e chiederci che cosa ci abbia lasciato un film tanto potente e così ricco di significati.

Dobbiamo chiederci che cosa rappresenti per ognuno di noi quella caduta.

 

Anatomia di una caduta.

Ovvero: un capolavoro.

 

 

I would give my life to find it
I would give it all
Catch me if I fall

Catch me if I fall
Catch me if I fall
Catch me if I fall

(R.E.M., Texarkana)

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