Regia di Céline Rouzet vedi scheda film
Se i più pensano che En attendant la nuit non sia un film horror, ma solo un dramma che sfrutta l’icona del vampiro per trattare un tema, quello dell’isolamento sociale e del bullismo, che non solo effettivamente innerva l’intero film, ma che è anche alla base dell’idea originale dello stesso, dato che l’opera è dedicata a “Vincent” fratello della regista e morto suicida a causa delle umiliazioni dovute a una malattia rara, forse sanno poco di cinema horror e della sua portata politica.
A sostenere la mia tesi c’è tutto il repertorio orrorifico seminato all’interno della pellicola che non è solo puro citazionismo, ma vero e proprio insieme di temi e motivi funzionali al genere. Innanzitutto, il riferimento alla saga di Twilight (2008-2012) è evidente – la storia d’amore tormentata e soprattutto romantica nel suo senso più classico, tra il languido e tormentato vampiro e la ragazza mortale affascinata dalla sua enigmatica figura. Qui però la regista non gioca solo sul romance, ma preferisce entrare anche nel dramma e scandagliare i fondali dell’abisso emotivo dei due adolescenti. Tant’è che qui il repertorio classico del genere vampiresco – la crescente sete di sangue, il pericolo della luce del sole, le ronde notturne, etc. – viene riletto intelligentemente per raccontare un travaglio sentimentale tipico dell’adolescenza – cosa sono le sfide di resistenza al sole del giovane vampiro se non delle attuali “challenge”?. Dopotutto, il ragazzo protagonista, Mathias Legoût Hammond, è un adolescente di 17 anni, inquieto, bello, con il fisico del ruolo del classico vampiro emaciato – nonostante una certa struttura muscolare che lo allontana dalla classica immagine del ragazzo imberbe e malaticcio. A lui è affidato il compito maggiore, ovvero, rendere credibile la figura di un adolescente vampiro in un contesto normalizzante e lontano anni luce dal cinema fantastico. Compito riuscito perfettamente tra l’altro – basti la scena al cinema, difficile non empatizzare con il ragazzo e applaudire l’attore.
Nonostante il contesto realista non sono poche le scene girate con quel gusto onirico ed estraniante, come l’appassionato bacio/morso sul collo tra il ragazzo e la sua innamorata, per le quali, pur non appartenendo direttamente al genere fantastico, si può almeno chiamare in causa il realismo magico e tutta una tradizione di film in cui la poetica prosaica del realismo viene riletta in chiave orrorifico/fantastica permettendo un stratificazione di significati maggiore, di impressioni e di soggettive spettatoriali ulteriori a quella della regista. Basti ricordare titoli recenti come Lasciami entrare (Alfredson, 2008) o Raw e Titane (Ducournau, 2017; 2021). Poetica che si può attingere anche da un panorama cinematografico più spiccatamente fedele al genere seppur compromesso con il reale come la filmografia quasi completa della coppia Bustillo/Maury (À l'intérieur, 2007; Livid, 2011; Aux yeux des vivants, 2014; e perché no?, anche Leatherface, 2017) o i migliori film di Alexandre Aja – su tutti Haute tension (2003) e Horns (2013) (ma io citerei anche Teeth di Mitchell Lichtenstein del 2007).
In questo – il neo-horror se vogliamo ribattezzarlo così – si può dire che la cinematografia francese abbia una marcia in più rispetto a pellicole di genere di altri paesi europei. Ecco perché En attendant la nuit non si può slegare totalmente da questa tradizione e da un immaginario di rifermento orrorifico il cui allineamento nulla toglie al taglio drammatico e al romance perseguiti dalla regista. Chi dice che il film di Céline Rouzet è lontano tematicamente, visivamente, formalmente da un film di genere, dovrebbe invece accettare con serenità l’immaginario horror più che evidente – avete presente il disturbante prologo con il neonato che invece di succhiare il latte dalla madre preferisce il suo sangue? – perché non dequalifica affatto l’opera, anzi, tutt’altro, la rianima e le dà uno spessore poetico non più databile. I temi dell’isolamento sociale per colpa di una “differenza”, una “discriminante”, che rende il protagonista un reietto, sono evidenti nel film della Rouzet, ma al tempo stesso, come decenni prima in The Fly (Cronemberg, 1986) e a suo modo Edward Shissorhands (Burton, 1990), sono caratterizzanti un genere preciso, che non ha altri nomi che horror o fantastico, nel più labile dei casi.
E non c’è nulla di male a dire che En attendat la nuit è un horror. Un horror moderno, una variazione sul mito del vampiro – guarda caso un adolescente come in tante iconiche rappresentazioni – o un neo-horror se vogliamo attribuire a questo termine il valore di attualizzazione di figure, temi e motivi del cinema classico mostruoso. Non c’è nulla di male. Tutt’altro, è un arricchimento. Anche perché il film abbonda di ingredienti tipici del romance adolescenziale, o meglio, siamo proprio immersi in uno young adult con tutti i livelli di drammaticità del caso, ma per restare in linea con il classicismo del genere basta citare motivi narrativi come le prime pulsioni sessuali che qui hanno una riconnotazione orrorifica intelligente – il senso di disagio, il sentirsi inopportuni, l’attrazione fisica e la risposta ingestibile del corpo, la gestione degli scatti di rabbia, la “diversità” come “unicità”, etc. – oppure l’innamoramento per la ragazza del “bullo” di paese, inavvicinabile e pericolosa, a sua volta attratta dal “diverso”. Inoltre primeggiano i luoghi, idillici, in cui i protagonisti si muovono, fondono e confondono. Uno su tutti il laghetto in cui i due innamorati si concedono i primi sguardi intimi, in cui sfiorano con gli occhi il corpo dell’altro, in cui fuggono a isolarsi e in cui cedono anche alle prime pulsioni – come non leggere in questo modo la suzione compulsiva del giovane protagonista quando la ragazza si taglia la mano, invertendo anche l’immagine classica della vampira che sugge sangue dal dito di lui (qui è lui che si disseta dalla mano aperta di lei). Ma anche il desolato e spersonalizzato quartiere è un non-luogo che strania e dissocia sia protagonisti che spettatore.
Forse il film è carente di certa violenza per non voler scadere in un teen horror, e di un certo erotismo – neanche un nudo nonostante tanta riflessione sul corpo – per considerarlo perfetto e un capolavoro di genere, ma è comunque un titolo in più di una lunga e ormai nutrita filmografia di neo-horror o horror contemporanei dove i castelli, le bare e le mostruosità sono sostituiti da quartieri perbene, macchine di lusso e adolescenti dal corpo perfetto.
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