Regia di Grant Singer vedi scheda film
L’abito non fa il monaco. Troppe volte, questo proverbio non viene ricordato/considerato come meriterebbe, lasciando che le apparenze ingannevoli, quel colpo d’occhio dettato dall’istinto e inevitabilmente inquinato dagli abituali stereotipi, prevalgano senza addentrarsi in ulteriori ed essenziali approfondimenti. Se in molti casi non si cade in errore, in altri il passo falso è dietro l’angolo e il tempo sprecato – talvolta irrecuperabile - espone a seri pericoli, producendo una cascata di eventi che non si possono resettare da un momento all’altro senza incorrere in conseguenze/riverberi sfavorevoli.
Quando viene ritrovato il corpo senza vita di Summer (Matilda Lutz – Revenge, The ring 3), il detective Tom Nichols (Benicio Del Toro – Sicario, Traffic), alle prese con un problematico frangente con la moglie Judy (Alicia Silverstone – Ragazze a Beverly Hills, Sbucato dal passato), conduce le indagini.
Affiancato dal fidato Dan Cleary (Ato Essandoh – Jason Bourne, Blood diamond), ha tra le mani una lista di potenziali sospettati, che comprende Will Grady (Justin Timberlake – The social network, In time), l’ultimo compagno della vittima, Sam Gifford (Karl Glusman – Love, Watcher), l’ex trasandato marito di Summer, ed Eli Phillips (Michael Pitt – The dreamers, Last days), un ragazzo in prolungato conflitto con la famiglia Grady.
Tra informazioni che aprono piste promettenti e improvvise battute d’arresto, Tom capisce di essere finito in un ginepraio più grande di quanto pensasse, dal quale può uscire vittorioso solo assumendosi dei grossi rischi in prima persona.
Reptile ha una spina dorsale insediata nel solco del thriller/crime di stampo poliziesco e segna l’esordio alla regia in un lungometraggio di Grant Singer, in precedenza autore di importanti videoclip musicali.
Trattasi di un film dal passo regolare, che cuoce a fuoco lento, che apre più tracce tenendo per la gran parte del suo corso i piedi ben piantati per terra, annoverando conti in sospeso da non trascurare e segreti occultati che emergono gradualmente, questioni personali che aggiungono sfumature e scheletri nell’armadio che contribuiscono a rendere mutevoli le prospettive.
Opportunità multiple che finiscono – in estrema sintesi - per raccontare un sistema marcio che allunga le ombre, che rifiuta, rigetta ed elimina chi non vuole scendere a patti partecipando a un gioco sporco, chi non accetta di piegarsi alle sue regole, nel quale la polvere finisce regolarmente ammucchiata sotto il tappeto e le scelte difficili non concedono distrazioni o ripensamenti, con un cameratismo che sfocia nel pozzo sbagliato.
In ogni caso, Reptile esce gradualmente alla distanza, dopo una durata eccessiva e rari escamotage (sogni radicati nella realtà), ma le singole tappe non presentano – in tante circostanze – innesti realmente significativi, con un atto finale più combattuto che riabilita/nobilita l’intero tragitto svelandone, una volte per tutte, l’effettivo centro d’interesse privilegiato.
Dulcis in fundo, il principale – nonché predominante - peso specifico dell’intera operazione finisce in capo al suo personaggio/interprete di riferimento. Se tanti personaggi entrano/escono ripetutamente dal radar, senza contare su una definizione adeguata (su tutti, vedasi un inutile Justin Timberlake, privo di sbocchi) quantunque i volti siano calzanti, come nel caso del prestigioso Eric Bogosian (Talk radio, Diamanti grezzi), il faro è perennemente puntato su Benicio Del Toro, un perno indiscutibile che, tra sguardi ineffabili e una fisicità imponente, un’innegabile stazza attoriale e una completa immedesimazione, domina in lungo e in largo, tra la fermezza sul campo di lavoro, offrendo il massimo contributo quando l’incudine e il martello sono a stretto contatto, e la sensibilità che trasmette quando duetta con Alicia Silverstone, veramente caparbia e convincente, che ritrova su un set ventisei anni dopo Una ragazza sfrenata.
Nel complesso, Reptile non si guadagna una medaglia al valore, tuttavia ha connotazioni sufficienti per non sfigurare. Un usato sicuro, paludoso e tormentato, parsimonioso e diffidente, robusto e senza balzelli, con la testa sulle spalle, che non riesce a liberarsi di una generale aurea mediocritas, nonostante alcune qualità siano abbastanza evidenti, come una fotografia consistente, congrua e omogenea sancita da Mike Gioulakis (It follows, Noi).
Tra sabbie mobili e nodi che vengono al pettine, abboccamenti e diversivi, esche e scoperte, diffusori e dissuasori, atteggiamenti senza scrupoli e salvagente di umanità, indizi e ambiguità, dissapori e digressioni, strettoie spinose e spiragli da acciuffare.
Crepuscolare e prevedibile, conservativo e avveduto.
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