Regia di Alan Taylor vedi scheda film
Il film, basato sulla vicenda fantastorica di un personaggio-mito, è simpatico e meno banale di quanto sembri. Napoleone non è morto a S. Elena: al suo posto c’era un mozzo di nave, che lo ha sostituito mentre lui fuggiva per sollevare la Francia contro i Borboni e che poi si è rifiutato di svelare il piano, preferendo il lusso da prigioniero alla libertà da povero diavolo. Passata la rabbia e lo sconforto, il vero Napoleone si adatta piano piano a una vita borghese accanto a una graziosa fruttivendola, che aveva fatto una vita da vedova bianca (il marito, soldato, aveva trascorso la maggior parte degli anni di matrimonio partecipando alle campagne in tutta Europa). A parte qualche forzatura (la strategia militare applicata alla vendita di angurie e meloni nei mercati parigini), si apprezza il modo in cui viene svolto il tema dello spossessamento dell’identità: Napoleone è sconcertato quando apprende la notizia della “sua” morte e ancor più quando vede in libreria le “sue” memorie, nelle quali il sostituto ha abbondato in particolari piccanti. D’altra parte, quando decide di rivelarsi a tutti, la donna lo rifiuta (o in quanto pazzo o in quanto Napoleone, fa lo stesso); e si tocca il culmine nella scena del manicomio (dove lo ha introdotto un medico suo rivale in amore, l’unico ad aver intuito la verità): al vedersi contraffatto dai numerosi malati di mente che vorrebbero essere lui, Napoleone si rende conto di non voler più essere sé stesso e torna nella sua nuova casa, alla sua nuova vita, mandando al diavolo i fanatici ancora disposti a morire per rimetterlo sul trono. Interessante anche il discorso sulla mercificazione della memoria storica, con il campo di Waterloo diventato luogo di vendita di souvenir (veri o falsi) per turisti di bocca buona.
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