Regia di Nuri Bilge Ceylan vedi scheda film
FESTIVAL DI CANNES 76 - CONCORSO - PREMIO ALLA MIGLIORE INTERPRETAZIONE FEMMINILE per MERVE DIZDAR
Il famoso e premiato regista turco Nuri Bilge Ceylan torna in competizione al Festival di Cannes con un nuovo affascinante trattato sull'incapacità dell'essere umano di manifestare i propri sentimenti.
Un regista che a Cannes ha partecipato spesso ed ha sempre trovato soddisfazione e riconoscimenti ambiti se si pensa che già nel 2003 il suo Uzak ottenne il Premio Speciale della Giuria.
Nel 2008 Tre scimmie ottiene, sempre a Cannes, il Premio per la miglior Regia, mentre nel 2011 il suo C’era una volta in Anatolia si riaggiudica il Premio Speciale della Giuria.
Nel 2014 arriva l’agognata, nonché meritatissima Palma D’Oro con Winter Sleep.
Samet è un professore vicino alla quarantina che da circa quattro anni si ritrova confinato a ricoprire un incarico scolastico assieme al suo collega Kenan presso una scuola di un paesino sperduto in Anatolia.
Una zona amena a vederla da turista, ma assai complicata per viverci.
Un luogo con sole due stagioni che si alternano senza preavviso: il freddo inverno nevoso e la stagione estiva calda che fa seccare subito le erbe dopo il disgelo.
La sua speranza di tornare ad Istanbul si vanifica quando voci tra colleghi e studenti insinuano di un suo comportamento troppo intimo con una studentessa in particolare con cui effettivamente il professore ha un rapporto confidenziale più marcato.
Per fortuna nella scuola c’è anche, come insegnante, la timida ma risoluta Nuray, claudicante per una gamba amputata a seguito del suo coinvolgimento in un attentato da cui è comunque riuscita a salvarsi.
L’amore li sfiora, ma certi sentimenti sono duri da far palesare e troppa reticenza crea ostacoli laddove effettivamente non esistono.
Nuri Bilge Ceylan è il regista dei campi lunghi, delle riprese che allargano gli orizzonti e lasciano libero l’occhio dello spettatore di scegliersi un angolo tutto proprio ove potersi concentrare nell’affrontare i dilemmi esistenziali che muovono i personaggi delle sue storie.
Bilge Ceylan cattura anche stavolta la bellezza pittorica severa di una Anatolia con due sole stagioni, quelle due più estreme, e ci presenta un protagonista dolente e ritroso che soffre la sua solitudine con dignitosa e rassegnata partecipazione, salvo trovare un po’ di umanità nel calore di un’alunna un po’ troppo disinvolta per non destare sospetti o invidie sui colleghi e sugli alunni stessi.
In oltre tre ore non certo leggere da affrontare, il regista tuttavia costruisce un suo percorso esemplare che finisce per delineare i tratti intimi di un personaggio straordinario. Accanto a lui quello, non meno sfaccettato e pudico, ma anche battagliero e deciso, della sua tenace collega Nuray, ferita nel fisico, ma ancor più nell’anima, dalla ferocia di un’ umanità che non tollera confronti pacifici e dialogo.
Ne scaturisce una storia d’amore e di corteggiamento lenta e soprattutto misurata, in cui ancora una volta il regista si concentra sulla difficoltà dell’essere umano di coltivare rapporti ed emozioni, ritrovandosi incapace di renderle palesi a coloro a cui sono indirizzate.
Nella scena centrale e meravigliosa dell’appuntamento a cena con inganno (affrontando la visione si comprenderà il perché), il gelo trattenuto che blocca i due potenziali amanti si concede una specie di tregua, ma, prima che il protagonista si trovi pronto ad affrontare la sua impresa, ecco che interviene salvifico un giro attorno al set cinematografico con effetto taumaturgico o almeno rassicurante, di natura in qualche modo terapeutica.
Una scena che arriva a bruciapelo e spiazza, all’interno di un film complesso da affrontare, ma anche in grado di lasciare tracce profonde nello spettatore che impara a lasciarsi prendere dalla maestosità di un’ ambientazione severa e magica, elemento sostanziale della vicenda e non un semplice sfondo pittoresco di mero e formale contorno.
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