Regia di Giulio Base vedi scheda film
RAIPLAY
In una estate di inizi anni '70, presso una zona residenziale della periferia capitolina, sopraggiunge trafelato, in 127 colore azzurro pantone, presso la villa di una nota attrice in declino di nome Arianne, lo scrittore e sceneggiatore un po' in disarmo Pietro, che con la diva collaborò in passato.
Costei non impiegherà moltissimo tempo a coinvolgere il conoscente, piuttosto a corto di mezzi, a partecipare al suo nuovo ambizioso progetto e sogno.
L'idea dell'attrice, non più giovanissima ma ancora molto attraente, è quello di rientrare in scena dal portone principale, forte di una sceneggiatura che possa indurre il gran regista Luchino Visconti non solo a scegliere il testo come suo prossimo progetto, bensì a farlo con lei come protagonista principale. La trasposizione che i due tentano di tradurre in materia cinematografica, è niente meno che l'opera somma di Marcel Proust, ovvero la gigantesca opera letteraria in 7 volumi intitolata Alla ricerca del tempo perduto. Un groviglio narrativo complesso e difficile da ridurre in opera cinematografica, che il suo geniale autore Marcel Proust scrisse tra il 1906 e il 1911, e che lo stesso vide pubblicata solo parzialmente dal 1913, finendo di uscire nel 1927, quando il celebre scrittore era già prematuramente deceduto da almeno cinque anni.
L'impresa, dopo sin troppo poca iniziale perplessità da parte dello scrittore, abituato a trasporre letteratura di serie B, ha inizio, ma scatena presto vivaci e spesso sin comiche scaramucce, nonché accesi battibecchi tra i due, che non perdono occasione per rinfacciarsi comportamenti maldestri occorsi in un recente passato, misti a storie di gossip cinematografico dell'epoca, utili a palesare certi indimenticati vezzi e costumi d'epoca. Un periodo, quei primi anni '79, di grande fermento per il cinema italiano, che trasforma oggi quel chiacchiericcio di gossip tra i due, in una sorta di adorabile "amarcord" cinematografico.
Un sentimento che, confrontato con la futilità dei pettegolezzi frusti e volgari di oggi, tra TV spazzatura e talent shows, risulta al diretto confronto come una forma di pura arte dell'informazione e testimonianza culturale di un tempo ormai irripetibile.
E la storia del cinema italiano di quei tempi, con in mezzo i forsennati progetti di in Visconti esigente, pieno di contraddizioni, volubile ed esigente oltre ogni sopportazione, ma anche profondamente indebolito fisicamente, restano i momenti più felici, vivaci e puri di un film curioso e girato con passione, forse persino con amore nei confronti di quei tempi lontani, galvanizzanti e dinamici che caratterizzarono la produzione e l'ispirazione cinematografica dei primi '70. Giulio Base - prolifico regista che riesce con disinvoltura da anni ad alternare operazioni commerciali quasi sfacciate, assieme a lavori televisivi decisamente acchiappa pubblico, a operazioni molto più intime, arrischiate, a basso budget ma di alto spessore culturale e documentativo, che rispecchiano perfettamente la passione cinematografica del cineasta, assiduo frequentatore di festival e persona molto ben disposta verso operazioni ad alto valore culturale aggiunto - gira, con questo suo vitale Á la recherche, un altro dei suoi piccoli riusciti film di nicchia che hanno il sapore di atti d'amore verso la settima arte. (Gli altri, per citarne solo alcuni tra i più recenti, sono Il banchiere anarchico, 2018, Bar Giuseppe, 2019, Il maledetto, 2022).
Il film segna anche il gradito ritorno sullo schermo di una grande attrice da tempo un po' in sordina, molto in linea con la Arianne che si appresta a interpretare.
Anne Parillaud appare infatti smagliante, magnetica, in gran forma, seducente e brillante.
Giulio Base nel ruolo dello sceneggiatore in bolletta Pietro, pur spigliato, tende forse un po' troppo al gigionismo, facendo un po' troppo il verso a certi personaggi sopra le righe divertenti del grande Alberto Sordi. Girato in lingua francese, fritto di una co-produzione franco-italiano, À la recherche nel doppiaggio italiano risulta talvolta un po' urlato e maccheronico, soprattutto quando a disquisire è proprio Base col suo sovraccarico personaggio di Pietro.
Base cerca anche saggiamente di crearsi qualche spazio o veduta esterna per evitare che il suo film appaia eccessivamente come teatro filmato, e la circostanza, grazie anche ad una efficace ed accattivante fotografia, funziona e convince.
Nonostante qualche piccola riserva, À la recherche si rivela un piccolo lodevole, di fatto quasi eroico esempio di cinema diretto col cuore ed un sentimento nostalgico pertinente e comprensibile verso un cinema di grandi maestri che ahimè, rimane solo un lontano, seppur indelebile ricordo, degno tuttavia di essere omaggiato, celebrato, tramandato.
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