Regia di Stefano Mordini vedi scheda film
C'è qualcosa di ostinato e perverso in quegli italiani che, forti della loro tracotanza, vanno allo sbaraglio mettendosi in ridicolo di fronte a mezzo mondo. Non è solo il caso di Berlusconi che fa le corna in occasione della foto di gruppo del vertice UE, ma anche quello di film come Race for Glory (e già il titolo, con quelle malriposte ambizioni internazionali…), che idealmente aspirerebbe a collocarsi sullo stesso solco di opere come Rush e Le Mans '66 (o, per altri versi, di Borg McEnroe e La grande partita), non disponendo neppure dei requisiti minimi. Stefano Mordini, che già aveva dato una prova a dir poco imbarazzante con La scuola cattolica, allestisce uno spettacolino che vorrebbe rievocare la clamorosa vittoria che la Lancia (all'epoca già trasferita alla FIAT) ottenne con una due ruote motrici sui giganti tedeschi della Audi ai mondiali di rally. Si trattò di una vittoria infingarda, il cui vero artefice fu il direttore sportivo Cesare Fiorio (Scamarcio, sempre più stramarcio e qui anche in veste di coproduttore oltre che nei panni di un essere umanamente spregevole). Nel film non c'è traccia dell'epica delle corse, le riprese su strada non riescono mai a dare il brivido e la didascalia, con tanto di spiegone su come funzionano le gare di rally, tracima da tutte le parti. Se poi si aggiunge che la recitazione è molto al di sotto del livello di guardia si capisce perché la sala fosse semideserta. Aggiungete inoltre la presenza di Lapo Elkann in un memorabile scult in cui interpreta il nonno, l'avvocato Agnelli, e fatevi i conti prima di lasciare i sesterzi al botteghino.
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