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Finalmente l'Alba

Regia di Saverio Costanzo vedi scheda film

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La recensione su Finalmente l'Alba

di Gangs 87
5 stelle

C’è stato un tempo in cui Hollywood stazionava sulle sponde del Tevere. Negli anni ’50 Cinecittà era luogo quasi di culto per i cineasti di ogni dove che, spesso e volentieri, si insidiavano nella città eterna mutandone il fascino e ampliandone il mistero.

 

È in questo periodo storico allucinatorio che si colloca la storia di Mimosa, giovane donna pronta a convolare a nozze con Angelo, mite ragazzo di buon partito, che lei però poco soffre. Quando la sorella, aspirante attrice, si reca a Cinecittà per un provino, Mimosa la accompagna e si ritroverà, suo malgrado, ma forse neanche troppo, protagonista di un’avventura, lunga una notte, che la segnerà per sempre.

 

L’evidente confusione che si percepisce dalla trama è il chiaro segno che Saverio Costanzo, quando si è approcciato a questo film, avesse in mente ben altro. È lo stesso regista infatti ad aver ammesso che inizialmente l’idea era quella di raccontare la storia della giovane Wilma Montesi il cui omicidio, avvenuto nell’aprile del ’53, venne definito il “primo caso di omicidio mediatico” su cui la stampa costruì infinite e inconcludenti teorie; la più famosa coinvolgeva diversi politici e annessi festini, a base di sesso e droga, nell’allora rinomata tenuta di Capocotta.

 

Ed è proprio a Capocotta che si trova la villa dove Mimosa viene condotta dai suoi nuovi amici, capitanati da Josephine Esperanto, diva americana, protagonista assoluta del kolossal in cui la ragazza quello stesso giorno ha partecipato come comparsa amicandosi la diva, e che diventa teatro del viaggio iniziatico di cui Mimosa è la sola partecipante.

 

Come una moderna Alice nel paese delle meraviglie, anche se qui di meraviglie ce ne sono davvero poche, Mimosa si aggira per la tenuta e incappa in personaggi viziosi ognuno dei quali sembra avere, come unico scopo della vita, quello di indurla al peccato e alla perdizione.

 

Già a partire da questo è evidente e netto il riferimento alla storia di cronaca nera di Wilma Montesi che Mimosa incontra sul suo cammino in diverse forse. La prima volta attraverso un cinegiornale che ne racconta il fatto, poi nei riferimenti della notte pericolosa e di perdizione che vive di cui Capocotta se ne fa quasi portavoce e infine sulla spiaggia che Mimosa percorre all’alba dove trova la croce e i fiori in suo onore laddove il corpo della giovane donna era stato rinvenuto.

 

Questo continuo e inconsistente rimando ai fatti della Montesi finiscono per intaccare la narrazione che ha preso una piega diversa seppure molto simile alle supposizioni di cronaca che ruotano intorno ai fatti non lasciandoci intendere quale sia il vero scopo del regista. Forse un modo per sostenere la sua tesi su un omicidio tutt’ora irrisolto? O vuole solo dirci che dopotutto Mimosa è una sopravvissuta e che Wilma Montesi poteva essere una qualunque di noi? Non è chiaro e non lo sarà neanche dopo i titoli di coda.

 

Certo è che diventa difficile anche dargli una collocazione di genere, alla pellicola di Costanzo che parte con tono sommesso e gioviale per trasformarsi poi quasi in un thriller dalla tensione palpabile che rende, almeno nella parte centrale del racconto, la visione molto piacevole; ma che alla fine ci restituisce il frutto di quello che, altro non è, se non un viaggio di maturazione lungo una giornata.

 

Il film di Saverio Costanzo finisce così per essere un inno alla bontà d’animo. Dopo tutto quello che vede e sente Mimosa riesce a restare sé stessa, a trovare quasi conforto dalle disavventure che vive che sembrano darle il coraggio di accettare la sua vita semplice. Alla fine resta lei l’unica autentica e sincera in un mondo di apparenze e finzione.

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