Regia di Paola Cortellesi vedi scheda film
Trentaquattresima e probabilmente inutile discussione intorno ad un film ampiamente chiaccherato sin dalla sua apparizione lo scorso ottobre. Un titolone alla Wertmuller.
Non era nei piani vederlo ma la sera di Pasqua quando io e mia moglie ci mettemmo in macchina per portare nostro figlio a casa di un amico, per un imprevisto pigiama party, non sapevamo che saremmo stati invitati a rimanere per il primo lungometraggio di Paola Cortellesi da regista. La nostra serata senza marmocchio prevedeva comunque il recupero di uno dei tanti film persi per strada negli anni. Quindi, eccoci in divano, davanti al film campione di incassi che, ora come ora, tutti pronosticavano tale già dall'uscita. Fatico ancora a credere nei dati del botteghino, non per questioni di merito ma perché "C'è ancora domani" è lontano dal prototipo di cinema mainstream che normalmente è americano, marveliano o vanziniano. Come concetto siamo più dalle parti di un "Green Book" o di un "Belfast" ovvero di un film ben girato, tecnicamente ineccepibile e moralmente auspicabile cotto e servito per raggiungere i cuori più sensibili ed i premi più ambiti. Paola Cortellesi ha conquistato gli uni e gli altri. Ce lo ricordano i 5 milioni di ingressi, il Nastro d'Argento, la bella figura in Francia e il record di nomination ai David di Donatello. Detto, dunque, che i nostri amici hanno svolto la funzione del logaritmo, dispensandoci dall'oneroso compito di scegliere cosa guardare, mi sono seduto sapendo che avrei arricchito le statistiche record dell'indomani.
Non me la sono presa per il ritratto cubista dei maschi italici. Poteva starci anche se un esempio positivo, tra i tanti negativi, sarebbe stato opportuno oltreché gradito. Che ne so, un fruttivendolo meno fanfarone o un vicino di casa un filo più sveglio. Ho visto questo film con la giusta distanza di chi ogni tanto si guarda dentro. Chi non ha granché da rimproverarsi non ha granché da indignarsi.
Dopo Pasqua "c'è ancora un domani", c'è da dire. Così eccoci da mia madre a chiedere se al paesello veneto e contadino, che mi ospita ormai da mezzo secolo, vi fossero donne che le prendevano dai mariti alla luce del sole. Mia mamma (nata 1948) ricorda una compagna di classe sparita in prima elementare senza lasciar traccia. La mia mamma se la intortarono in tutti i modi per impedirle di conoscere i disdicevoli peccati coperti con la fuga. Nei primi anni '50 il matrimonio era inviolabile per cui era proibito parlare ai bambini di donne scappate di casa (con i figli appresso) per evitare di buscarle di santa ragione dai mariti. Mia madre avrebbe scoperto la verità in età adulta trovando casualmente quella vecchia amica d'infanzia a cui non era riuscito di evitare la stessa sorte della propria madre. Anche lei se n'era andata di casa per un altro uomo e ugual sfortuna. Insomma donne cornute e battute ce n'erano e purtroppo ancora ce ne sono benché il matrimonio non sia più sacro come un tempo. Negli anni del dopo guerra le poverette che osavano ribellarsi sapevano di andare incontro al pubblico dileggio e all'emarginazione ma almeno smettevano di prenderle.
Sul voto alle donne, che mia mamma esercitò dagli anni '60 con costanza, rimangono nella sua memoria i racconti delle donne più anziane e quel misto di incredulità ed orgoglio con cui si apprestarono ad inserire la prima scheda nell'urna. Senza dubbio il primo voto fu un evento importante. E senza quella prima espressione del volere alcune consultazioni successive non avrebbero portato al risultato che oggi conosciamo.
Il film di Paola Cortellesi, dunque, esercita un suo fascino nel ricostruire l'epoca del primo voto femminile su scala nazionale, un voto che è bene ricordarlo decise le sorti della monarchia. L'attrice ed ora regista romana ha riacceso la memoria del tempo passato, ha descritto a chi non le ha vissute, le sensazioni del suffragio universale ed ha raccontato le donne e le loro aspirazioni per il futuro. Bastonate o meno che fossero.
A mio giudizio il film è ben girato e ben illuminato dalla fotografia in bianco e nero di Davide Leone. Cortellesi ha adottato diverse soluzioni per lasciare la propria impronta di regista. Ha trasformato le percosse in un macabro balletto di coppia ed ha impresso i segni degli schiaffi sul proprio corpo per farli sparire delicatamente perché le donne nascondono i lividi agli occhi degli altri e, per paura, per amore o per vergogna, anche ai propri. E poi in vent'anni di matrimonio cosa saranno mai state per Delia quelle ecchimosi violacee se non attimi fugaci o segni destinati a scomparire con la stessa velocità con cui si sarebbero ripresentati? Nella scelta piuttosto scontata, per un'attrice brillante, di esordire dietro la mdp con una commedia, ho trovato la scelta di adottare un registro lieve nella rappresentazione delle violenze come la più appropriata. Ma per non sconfinare troppo nella commedia romanesca e caciarona e rimanere, piuttosto, ancorati ad un riflessione importante sulle donne Paola Cortellesi ha saputo trattenersi nel recitare la parte di Delia conferendo così al personaggio una maggior credibilità. Altrettanto bravo il povero Valerio Mastandrea nei panni di Ivano. S'è cimentato con un personaggio scomodo e sgradevole con i cui impulsi non dev'essere stato facile confrontarsi.
Tornando alle scelte di regia trovo che la sequenza girata al seggio, con la macchina che si sposta lateralmente sulle donne del racconto, molto diverse tra loro per estrazione sociale e indipendenza, ma accomunate dallo stesso bisogno di uscire dall'ombra degli uomini, sia sicuramente suggestiva. Significativo anche il gesto di togliere il rossetto dalle labbra, un'azione che sembra alludere all'uguaglianza raggiunta almeno nell'espressione del proprio voto. La stessa scena, per altro, può essere interpretata in modo diametralmente opposto pensando a quel gesto come ad un atto di sottomissione delle donne alle esigenze degli uomini. Non sono quest'ultimi a dover mettere il rossetto per votare bensì le donne che si devono ripulire le labbra.
Parimenti ho trovato emozionante i corpi sulla scalinata che serrano le fila per difendersi e sostenersi alludendo al compito di una sorellanza che protegge se stessa dagli abusi. Credo che la sequenza, ripresa al ritmo di un coreografia danzante, non voglia raccontare un obiettivo raggiunto nel momento specifico della narrazione, quanto una lettera d'intenti per il futuro.
Personalmente ritengo che non ci sia molto da discutere sulla resa visiva e cinematografica di questo film. Cortellesi ha fatto un ottimo lavoro. Maggiori perplessità ha suscitato in me la scrittura.
Sortisce il proprio effetto la consegna della posta a Delia. Imbacucca a sufficienza lo spettatore per poi lasciarlo a bocca aperta al momento opportuno.
Non ho ravvisato, invece, la profondità psicologica che i personaggi potevano esibire senza, per questo, fare scempio del tratto tragicomico del film. I protagonisti sono troppo bianchi e troppo neri e le loro azioni non sono analizzate sempre a dovere. Mi sembra riuscito il tentativo di proporre una serie di personaggi femminili eterogenei capaci di rappresentare l'universo femminile dell'epoca, dalla donna del fascista, alla donna che appartiene a sé stessa. Per quanto spettacolare ed improvvisa non ho apprezzato completamente la sequenza dell'esplosione. Narrativamente parlando l'episodio non manca di plausibilità. Nel '46 la guerra era un ricordo tutt'altro che sbiadito e le scaramucce tra fascisti e partigiani tutt'altro che sepolte. Delia avrebbe trovato facilmente qualcuno che le facesse il "piacere". Magari la vicina di casa pettegola l'avrebbe indirizzata a chi avesse avuto i conti in sospeso con il fascio. Dal punto di vista morale, invece, l'escamotage per liberare la giovane Marcella dal fidanzato è decisamente discutibile e francamente rischia di rovinare l'analisi sociale con un gesto che grida il proprio antifascismo ma che rischia di essere interpretato come mancanza di scrupoli e vendetta. Un gesto lungi dall'essere pacifico e democratico e che rischia di rendere vani i principi su cui si fonda l'impegno "politico" della sua autrice.
Ripulito, qua e là, di qualche retorico compiacimento e sorretto da una scrittura più profonda "C'è ancora domani" avrebbe potuto raggiungere un risultato artistico pieno. Paola Cortellesi sembra avere nelle proprie corde il ruolo da regista. Se riuscirà a coordinare pienamente l'espressione visiva del proprio cinema con la scrittura potrà ottenere la pienezza del risultato. Il processo è iniziato. Se avrà la pazienza e la lungimiranza per affrancarsi dagli stereotipi della commedia nazionalpopolare e addentrarsi in un percorso alleniano attraverso la commedia psicanalitica, ed il dramma, come naturale conseguenza, completerà il proprio percorso
Per ora il primo importante voto è stato infilato nell'urna delle consultazioni.
Netflix
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