Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Un'epopea profetica e messianica tra battaglie nel deserto e lotte politiche.
Dopo un posticipo di circa tre mesi e a quasi due anni e mezzo dal primo capitolo, eccoci con DUNE Parte Due di Denis Villeneuve.
Una volta accolti dai Fremen, popolo originario del pianeta desertico Arrakis, Paul Atreides e sua madre Jessica cercano di integrarsi con loro per farsi accettare in vista di una possibile guerra con gli Harkonnen che sono responsabili, insieme all’imperatore Shaddam IV e delle streghe Bene Gesserit, della caduta degli Atreides per il possesso della Spezia e per giochi di potere. Tra assalti bellici e prese di fazioni politiche e religiose si deciderà il destino di Arrakis e forse dell’impero intergalattico.
Se il primo Dune dava alla fine una sensazione di troncatura ad una trama appena avviata quando in realtà era già stato tutto introdotto e avviato nel corso del film, nel secondo si arriva al consolidarsi dei fatti precedenti e nel crearne altri con nuovi personaggi, nuove battaglie e nuovi risvolti narrativi. Chi si aspetta una roba alla Star Wars o Armageddon o altri polpettoni fantascientifici pieni di soldi qui si va’ completamente fuoristrada, dato che l’azione dura 30-45 minuti e il resto sono spettacoli visivi di introspezioni, congetture o meno di profezie messianiche e religiose, intrighi e cospirazioni tra casate, percorsi dell’eroe e cavalcate coi vermi del deserto. Qui Paul Atreides con l’alleata e amata Chani rimane invischiato nell’accettare o meno il suo ruolo di salvatore di Arrakis e, strumentalizzato o no dalla madre e dalla fede dei Fremen, attraverserà percorsi che metteranno in dubbio se il suo operato sia migliore o peggiore dei nemici stessi, alla fine dei conti. Dall’altra gli Arkonnen con il loro campione Feyd-Rautha, tanto spietato e sanguinario quanto risoluto nel perseguire i suoi obiettivi.
Il lato tecnico è indiscutibile, musiche e immagini spettacolari e geometriche, un buon montaggio che non fa’ pesare l’andamento lento della pellicola, ma che anzi permette un buon scorrimento degli eventi. L’azione è chiarissima sia nelle battaglie campali contro macchinari giganti e navi da guerra che nei duelli all’ultimo sangue, in particolare nell’arena degli Harkonnen. La fotografia rimane sempre algida, ma mai freddissima negli scenari desertici e che diventa marmorea in bianco e nero appunto nell’arena. Gli attori tutti bravissimi con delle sorprendenti Lèa Seydoux, Florence Pugh e un’altra molto nota che preferirei non rivelare…! (Un indizio, ha esordito quasi dieci anni fa).
Al netto di molte tematiche affrontate con l’uso di immagini e non detti, magari qualcosina nella sceneggiatura e alcuni personaggi vanno un po’ a traballare e la parte finale potrà forse sembrare frettolosa, però ci può stare data la catarsi precedente.
E quindi, il finale non è autoconclusivo o meglio chiude una pagina per lasciare semi-aperta quella dopo, magari per far finire il tutto tra un annetto o due.
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