Regia di Kirill Serebrennikov vedi scheda film
Se vi aspettate che Limonov (pseudonimo di Eduard Veniaminovic Savenko, da una parola che sta per "bomba a mano") sia un biopic, beh, sappiate che siete fuori strada. Sì, è vero che il regista Kirill Serebrennikov, già autore del mediocre e sopravvalutato Parola di Dio, parte dal romanzo biografico di Emmanuel Carrere (che nel film si ritaglia anche un bravissimo cameo) sullo scrittore e politico russo. Ma lo stile è quello di un'opera punk forsennata, costantemente sopra le righe, nella quale all'esagitazione del protagonista corrisponde quella di un montaggio slabbrato, di macchina a spalla alternata a pianisequenza da manuale del cinema (su tutti, quello che fa attraversare a Limonov la seconda metà degli anni Ottanta), di musiche spesso tonitruanti che tornano in più versioni (Walk on the Wild Side, di Lou Reed). Difficile, in queste condizioni, seguire il percorso esistenziale di questo incontrollabile iconoclasta che, partito dall'Unione Sovietica, si spostò negli Stati Uniti (dove fece il maggiordomo a servizio di un tycoon dopo avere vissuto come un senzatetto) alla ricerca dello stesso successo come scrittore che gli era stato riconosciuto in patria (dove non voleva essere equiparato a dissidenti da lui disprezzati come Solženicyn), per poi trasferirsi in Francia e, infine, ritornare in Russia dopo il crollo dell'URSS. Ed è qui che fondò il suo partito ultranazionalista bolscevico, inviso al Cremlino.
Il materiale per un film memorabile ci sarebbe stato tutto, se non fosse che la regia spinge troppo sul pedale dell'iperbole, sull'incontinenza verbale e sessuale del protagonista, adottando uno stile ipertrofico, nel quale viene dato fondo a una miriade di stili possibili, in un virtuosismo che a tratti si divora i contenuti, rendendo spesso difficilmente sostenibili le due ore e venti di film che, inevitabilmente, attivano la pandiculazione.
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