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Romantiche

Regia di Pilar Fogliati vedi scheda film

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La recensione su Romantiche

di barabbovich
8 stelle

Pilar Fogliati è uno straripante talento naturale. La trentenne romana è venuta prepotentemente alla ribalta - dopo l'immancabile gavetta e qualche apparizione cinematografica - con un video diventato virale sul web, nel quale interpretava diversi profili e altrettante, magmatiche inflessioni dialettali della gioventù femminile capitolina. È proprio da quell'idea che riparte la sua opera prima come regista, scritta con il due volte premi Strega Sandro Veronesi (che appare in un cameo): un film nel quale la Fogliati - bellissima oltre che bravissima - si fa in quattro, interpretando altrettanti personaggi. Eugenia Praticò è una palermitana venuta a Roma in cerca di fortuna come sceneggiatrice, ma costretta a un precariato perenne nella zona del Pigneto. Uvetta Budini di Raso è un'aristocratica che si esprime a suon di "tipo" e "super" (straordinario il lavoro sul lessico e sulla prosodia, oltre a quello sulle acconciature e sull'abbigliamento compiuto dall'attrice/regista) e che finisce per innamorarsi quasi sempre di qualche cugino alla lontana. Qualcosa di diverso arriverà quando andrà a lavorare le farine per cinque giorni nel panificio di famiglia. Michela Trezza è una sempliciotta che viene da Guidonia, estrema periferia orientale della capitale. Fa la commessa in un negozio di scarpe, è in procinto di sposarsi con un uomo devoto e protettivo (Propizio) quando nella sua vita si riaffaccia una vecchia fiamma (Anzaldo). Infine, c'è Tazia De Tiberis, una detestabile pariolina che dispensa consigli alle amiche su come tenere il maschio al guinzaglio fino a quando non scopre il suo fidanzato (Purgatori) con una escort (Centorami).
Dopo Grazie ragazzi, la commedia italiana ci regala un secondo, delizioso gioiellino (originale, stavolta), merito di uno script che - senza voler strafare - gioca con i luoghi comuni, tracciando alcune riuscitissime caratterizzazioni antropologiche della gioventù romana. Il riferimento ideale sembra essere il Verdone degli esordi (quello di Un sacco bello), spurgato da quel qualunquismo che ha sempre caratterizzato il comico romano e arricchito da spunti di autentica poesia visiva (gli ossi di seppia di montaliana memoria fanno da sfondo a un quadro che rimane nel cuore). Oltre a dare una superba prova di trasformismo - attorniata da attori tutti perfettamente credibili - la Fogliati cuce le quattro storie fissandole sotto il comune denominatore del rapporto con una psicoterapeuta (Bobulova) e passando al setaccio i tanti aspetti che sono legati al titolo: le difficoltà nel rapporto di coppia, il sesso, il tradimento, i desideri e le speranze, le amicizie. Il tutto con un tono leggero (si ride, e tanto) ma senza superficialità. Chapeau.

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