Regia di François Ozon vedi scheda film
Per stessa ammissione di François Ozon, Mon Crime – La colpevole sono io, 22° lungometraggio del prolifico regista francese ad appena 25 anni dal primo, si pone come l’ultimo capitolo di una trilogia iniziata con 8 donne e un mistero, giochino meta cinematografico che metteva in scena le star femminili della cinematografia francese, e proseguita con Potiche, la bella statuina, focalizzata invece sulla rivalsa femminista e sull’aspetto socio-politico contemporane, e come questi risulta l’adattamento di un testo teatrale d’annata, in questo caso l’opera omonima del 1934 di Georges Berr & Louis Verneuil, mantenendo l’epoca di ambientazione seppur, evidenziandone gli elementi più contemporanei, in una chiave decisamente revisionista, in quanto il teatro è sempre stata una grande fonte d’ispirazione del regista.
L’obiettivo del regista è ritrovare le atmosfere della commedia sofisticata dell’età dell’oro di Hollywood, gli anni’30 di Ernst Lubitsch, Howard Hawks e Billy Wilder, di quest’ultimo soprattutto Amore che redime, il suo debutto alla regia, insieme a Alexander Eswau, del‘34 (non a caso lo stesso anno della pièce teatrale di Berr & Verneuil), una stagione di glamour e divertimento, dove i personaggi si rivelano al pubblico a colpi di ironiche ripicche e repliche sagaci, e dove le donne portano spesso i pantaloni (in tutti i sensi).
Ozon parte da queste premesse per compiere un discorso attualissimo, seppur rischioso, assumendo il punto di vista delle protagoniste, tutt’altro che persone esemplari, parteggiando per loro e portando avanti una riflessione, legittima, che punta però a rivelare tutte le ipocrisie e le falsità che si nascondono dietro a un femminismo di facciata, che si fregia dell’hashtag #Metoo per poi invece comportarsi diversamente, in favore invece di un femminismo più sincero, che non pontifichi e proponga soluzioni edificanti ma, troppo spesso, inutili (o addirittura controproducenti) ma che renda invece evidenti certe problematiche e il contesto in cui si sviluppano per determinarne una possibile soluzione.
Le due protagoniste del film non sono vittime innocenti, seppur la violenza subita sia assolutamente reale, ma due truffatrici che cavalcano l’enfasi dell’omicidio, e la pubblicità che da tutto questo ne deriva, per un proprio tornaconto personale.
Il loro femminismo ostentato non manca di una certa ambiguità e l’emancipazione e la scalata sociale delle protagoniste avviene attraverso bugie e manipolazioni, perfidia di una pellicola che dietro il divertissement si rivela più cinico e sovversivo di quanto appaia invece in superficie.
La sentenza del tribunale non ne cancella comunque la violenza subita come non sminuisce l’abusivismo sistematico e oppressivo dell’industria dello spettacolo, teatrale o cinematografico che sia, nei confronti del genere femminile, aspetto questo cha coinvolge anche tutto il resto della società, e le bugie, o il matrimonio di convenienza, rimangono l’unico (!) modo per le protagoniste di fare carriera, così come l’alleanza femminile sembra possibile soltanto sulle scene di un’opera teatrale mentre nella realtà e soggetta (esclusivamente?) agli interessi di parte, mentre altre scene sembrerebbero suggerire che tra le due ragazze possa esserci qualcosa di più di una semplice amicizia, qualcosa che però la società non accetterebbe di buon grado.
Una commedia brillante che però si scontra (perdendo?) con la dura realtà.
Ozon amplifica tutto questo in una messa in scena (scenografia di Jean Rabasse, costumi di Pascaline Chavanne e fotografia di Manuel Dacosse) estremamente finta ed esagerata, tutta enfasi e gigionismi a sottolineare come il cinema sia espressamente bugia e menzogna (e in questo non poi così dissimile dalla realtà), per un intreccio di ipotesi e diverse versioni re-enactment dell’assassinio dissonanti e contradditorie (montaggio di Laure Gardette), rappresentate quasi tutte in bianco e nero, tutte possibili e verosimilmente false (soltanto l’ultima, una rappresentazione teatrale totalmente artefatta, è a colori), e mescolando il teatro boulevard con quella screwball hollywoodiana che Ozon vuole evidentemente omaggiare.
Fanno parte del cast Nadia Tereszkiewicz, Rebecca Marder, Isabelle Huppert, Fabrice Luchini, Dany Boon, André Dussollier, Édouard Sulpice, Régis Laspalès e Félix Lefebvre.
VOTO: 6
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