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Mon crime - La colpevole sono io

Regia di François Ozon vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Mon crime - La colpevole sono io

di laulilla
9 stelle

È strano: non ci troviamo nella Parigi di oggi e non siamo nel dopo Covid, tuttavia, vedendo il film, ci sembra di vivere in questo nostro tempo. Ovvero: il “reo buon uomo” non sempre è sprovveduto come Renzo Tramaglino e non sempre è un uomo

Il film ci dice subito che siamo nel 1935, quando andava per la maggiore la pièce teatrale di Louis Verneuil e Georges Berr, alla quale si ispira questa intrigante ultima regia di François Ozon, che ha realizzato uno dei suoi film più sorprendenti: non era ancora il tempo del me-too, ma gli rassomiglia; non esistevano ancora i “social” a dividere l’opinione pubblica, ma giornali e gazzette, svolgendo egregiamente il loro compito, creavano tifosi e haters indirizzando al pubblico femminile l’invito a riflettere sulla solidarietà di genere, per affermare il diritto di ogni donna all’indipendenza e al lavoro. 

 

Le premesse della storia

Madeleine Verdier (Nadia Tereszkiewicz), aspirante attrice, è una graziosa biondina che vediamo uscire in lacrime da un portone, dirigersi verso il Lungo-Senna, quindi raggiungere la  mansarda povera, con vista sui tetti di Parigi, dove vive con l’amica, aspirante avvocata, Pauline Mauléon (Rebecca Marder).

Le lacrime, sempre molto copiose, probabilmente sono “lacrime d’amore”: così -  vedendo la pietosa scena - vien da pensare, dimenticando, però, che il tournage è guidato e diretto dallo smaliziato e raffinato regista che volentieri dissemina indizi ingannevoli.

Presto sapremo, infatti, che il pianto di Madeleine non nasce dalla disperazione ma dalla rabbia per l'umiliazione appena subita.

La fine dei sogni

Il noto produttore teatrale che le aveva fissato un appuntamento, promettendole una parte ambita nella commedia del momento – ciò che finalmente le avrebbe permesso di pagare in parte gli arretrati dell’affitto all’avido padrone di casa e anche di togliersi la fame – si era rivelato un vecchio sporcaccione, che l’aveva aggredita sessualmente senza troppi complimenti, costringendola a fuggire
Il sogno di realizzarsi professionalmente era destinato, con ogni evidenza, a rimanere nel cassetto, insieme all’altro, quello di sposare il ricco fidanzato, destinato dal ricco padre a un matrimonio di interesse …

 

Gli sviluppi della storia

 

Le due belle amiche, disoccupate e frustrate, avevano deciso di consolarsi andando al cinema, del tutto ignare che il ricco produttore sporcaccione era stato ucciso poche ore prima e che era bastato un rapido esame della sua agenda per trovare traccia dell’appuntamento con Madeleine; la polizia era presto arrivata, perciò, alla piccola mansarda e, con l’aiuto della portinaia e dei suoi maligni pettegolezzi, aveva trovato in tutta fretta la “rea” nel frattempo tornata a casa – e ora ne attendeva la confessione.
Una rapida occhiata di intesa aveva siglato il tacito accordo: carta penna e calamaio erano serviti a raccogliere la confessione di Madeleine, sotto il vigile sguardo del suo avvocato Pauline.


L’ingiustizia era diventata l’occasione da non perdere: il delitto, meritevole della condanna a morte, era stato doverosamente trasformato in un atto legittimo di Madeleine per difendersi da quel maledetto produttore non nuovo a simili prodezze; il giudizio si sarebbe svolto in un’aula di tribunale, dopo che un incompetente e incapace procuratore (grandissimo Fabrice Luchini) aveva raccolto di malavoglia la “confessione” della vittima.

 

Ora, finalmente, riconosciamo Ozon: la giustizia trionfa grazie alla recita "teatrale" dei protagonisti che ricoprono, a quanto pare, i ruoli desiderati da sempre, guadagnando fama, visibilità e anche molti quattrini.

Se questa fosse la fine del film, usciremmo tutti felici e contenti: la bella fiaba si è conclusa secondo i nostri auspici.

Non è nelle corde del regista, però, un siffatto lieto fine: Madeleine recita, finalmente, come da sempre aveva desiderato; lo stesso fa, tuttavia, Pauline, che avrebbe voluto fare l'avvocato; la verità ne era uscita a pezzi, confondendosi con la finzione. Chi aveva ucciso il produttore sporcaccione? Com'erano andate le cose?

Le risposte verranno nell’ultima parte del film nella quale nuovi personaggi compariranno, sorprendendoci ancora una volta?

Il silenzio è d’obbligo: nessuno spoiler può essere consentito; le invenzioni e le sorprese continue impongono di gustare fino all’ultima scena,  e anche oltre, questo film, tra i migliori e più coerenti del regista…

 

D’obbligo è invece ricordare le numerose citazioni dai grandi registi del primo ‘900, da Billy Wilder, a Lubitsch, oltre che quella di Claude Chabrol, che, avvalendosi della grande interpretazione di una giovanissima Isabelle Huppert, al suo primo film, aveva portato sugli schermi la storia, tratta dalla cronaca, di Violette Nozière (1978).

D’obbligo anche accennare alle numerose autocitazioni: i thriller “8 donne e un mistero, “Swimming Pool”, “Nella casa, film di grandi attori nei quali, come in questo,  l’incrocio con la rappresentazione teatrale – più o meno venato di giallo, di noir e di irriverenza – è molto evidente.. Né si possono tacere le affinità con “Potiche, in cui il tema della parità femminile è apertamente trattato, a conferma della predilezione del regista per le battaglie e le lotte sociali delle donne impegnate ad affermare i propri diritti  e la propria autonoma capacità di decidere.

 

 

 

 

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