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L'innocenza

Regia di Hirokazu Koreeda vedi scheda film

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La recensione su L'innocenza

di supadany
8 stelle

La verità non è mai una sola, come ci piacerebbe credere per sentirci in qualche modo rassicurati/protetti. Soprattutto, prima di appioppare sentenze, occorrerebbe avere un quadro definito/completo della situazione, un punctum difficile da ottenere nel momento in cui giudicare è mille volte più facile che provare a comprendere e ogni macchia/idea originale – poco conta se validata o meno – rimane impressa nella memoria comune e quindi trasmessa senza porsi particolari dubbi sul merito. Questo senza scordare le pratiche e i comportamenti che vanno per la maggiore, ad esempio con chiusure a riccio che puntano esclusivamente alla tutela personale, anche a costo di mentire o soprassedere su elementi controversi.

Un quadro desolante/ingiusto che - prima o dopo – tocca tutti da vicino, creando lacerazioni profonde e strascichi gravosi, punti di rottura dai quali non si torna più indietro, almeno non del tutto.

Su questa base, prende corpo e slancio L’innocenza, una pellicola che vede il ritorno in Giappone di Hirokazu Kore’eda dopo Le verità e Le buone stelle. Oltretutto, riprende in mano temi a lui cari, tra nuclei familiari (Un affare di famiglia, Father and son), abbandoni (Nessuno sa) e amicizia insediata nell’emisfero dell’infanzia, riuscendo tuttavia a rinnovarsi, con uno spartito – garbato, ma determinato e consapevole - che ha molto da dire/condividere e gli strumenti necessari per farlo con considerevole profitto.

Quando Minato (Soya KurokawaNon mi stuzzicare, Takagi!) comincia a comportarsi in maniera insolita e preoccupante, Saori (Sakura AndoPenance, A man), la madre che lo sta crescendo da sola dopo aver perso il marito, lo interroga e individua nel maestro Hori (Eita NagayamaSeptember 1923) il responsabile del disagio che sta vivendo, chiedendo spiegazioni a lui e alla preside, la signora Makiko Fushimi (Yuko TanakaDearest, Backwater), una donna reduce da una devastante tragedia, ricevendo in cambio nient’altro che scuse di circostanza, tali da indurre ulteriori tormenti.

In realtà, la questione è decisamente più ingarbugliata e ampia di quanto appaia a Saori, riguardando da vicino anche Yori (Hinata Hiiragi), un bambino bullizzato e particolarmente sensibile, che vive anche una deleteria situazione familiare.

Niente è quello che sembra e ci vorrà tanta pazienza per venirne – almeno parzialmente – a capo.

 

 

scena

L'innocenza (2023): scena

 

 

Premiata, con sacrosanta ragione, per la miglior sceneggiatura – di Yuji Sakamoto – a Cannes, L’innocenza è un’opera strutturata e magmatica che possiede molteplici qualità e inclinazioni, instaurando e concimando un proficuo dialogo con lo spettatore, chiamato a prendere/rivedere la sua (predis)posizione.

Con un modello che guarda a Rashomon, ma con funzioni finalizzate in maniera difforme, Hirokazu Kore’eda, che non si affidava a una sceneggiatura terza dai tempi di Maborosi, allestisce un modello di ricostruzione/decostruzione che affronta svariate tematiche con un encomiabile, equilibrato e costante senso della misura.

Segnatamente, scatena uno sciame sismico che accosta/sovrappone più punti di vista, dimostrando quanto la comprensione individuale sia parziale e necessiti di uno sforzo ulteriore, attualmente non comune, per individuare il bandolo della matassa, mettendo il dito nella piaga, con un discorso - locale e universale - che si districa sui disordini contemporanei, tra la crudeltà – indifferente, scoperta e gratuita – della gente, quelle valutazioni erronee che in troppi casi fanno testo e diventano legge, il desiderio di semplificazione che prende il sopravvento, anche quando non è tutto chiaro/risolto e i punti ciechi sono lapalissiani, e quelle disattenzioni di comodo che non fanno altro che rimandare le soluzioni.

Dunque, L’innocenza detiene un pantagruelico valore contenutistico, esercitato con una notevole/funzionale apertura mentale, e vanta una precisione aulica, con incastri propizi a doppia mandata, e un ordinamento che regola le prerogative, con una pista di atterraggio che esalta le doti dell’autore scavalcando gli steccati imposti e opprimenti, per lasciare libero sfogo all’immaginazione e all’istinto.

Infine, questa ricca e multipolare dissertazione, può contare su un’unità d’intenti più unica che rara, con un contorno compatto (vedasi la colonna sonora per palati fini di Ryuichi SakamotoL’ultimo imperatore, Furyo) e il pallino del gioco che passa da un protagonista all’altro alimentando un inesorabile percorso di scoperta e crescita, con una gestione dei giovanissimi che lascia semplicemente a bocca aperta, per intensità e spontaneità, per come acciuffa ed emette emozioni da pelle d’oca.

 

 

scena

L'innocenza (2023): scena

 

 

In definitiva, L’innocenza conferma e rilancia le quotazioni di Hirokazu Kore’eda, un autentico fuoriclasse in grado di esporre argomenti significativi con chiarezza e in purezza, anche quando, come in questo caso, deve giostrare parecchie opacità/sfaccettature/vulnerabilità e scegliere le modalità/tempistiche per immettere ogni singola indicazione.

Un vero e proprio esempio di cibo per l’anima, con un sopraffino grado di accortezza e un apodittico ricorso a espedienti narrativi che spostano e bilanciano gli oscillanti indicatori della ragione, per uno scrigno a più scomparti che mette in discussione il nostro modo di pensare, tra pulci nell’orecchio e patate bollenti, innocenze infrante e mostri che agiscono nell’oscurità, colpe diffuse e omissioni parziali, tante domande e risposte da ricercare senza soffermarsi alle apparenze, amicizie segrete e attrazioni inconfessabili (vedi, Close), rigidità istituzionali e dinamiche di pubblico dominio, discriminazioni e sofferenze, disfunzioni dichiarate e condizionamenti impliciti, paure ancestrali e rifugi incontaminati, da scovare per poter finalmente lasciare campo libero al sorriso.

Stimolante e munifico, stratificato e pregnante, di commovente/sapiente integrità.

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