Regia di Hirokazu Koreeda vedi scheda film
La verità non è mai una sola, come ci piacerebbe credere per sentirci in qualche modo rassicurati/protetti. Soprattutto, prima di appioppare sentenze, occorrerebbe avere un quadro definito/completo della situazione, un punctum difficile da ottenere nel momento in cui giudicare è mille volte più facile che provare a comprendere e ogni macchia/idea originale – poco conta se validata o meno – rimane impressa nella memoria comune e quindi trasmessa senza porsi particolari dubbi sul merito. Questo senza scordare le pratiche e i comportamenti che vanno per la maggiore, ad esempio con chiusure a riccio che puntano esclusivamente alla tutela personale, anche a costo di mentire o soprassedere su elementi controversi.
Un quadro desolante/ingiusto che - prima o dopo – tocca tutti da vicino, creando lacerazioni profonde e strascichi gravosi, punti di rottura dai quali non si torna più indietro, almeno non del tutto.
Su questa base, prende corpo e slancio L’innocenza, una pellicola che vede il ritorno in Giappone di Hirokazu Kore’eda dopo Le verità e Le buone stelle. Oltretutto, riprende in mano temi a lui cari, tra nuclei familiari (Un affare di famiglia, Father and son), abbandoni (Nessuno sa) e amicizia insediata nell’emisfero dell’infanzia, riuscendo tuttavia a rinnovarsi, con uno spartito – garbato, ma determinato e consapevole - che ha molto da dire/condividere e gli strumenti necessari per farlo con considerevole profitto.
Quando Minato (Soya Kurokawa – Non mi stuzzicare, Takagi!) comincia a comportarsi in maniera insolita e preoccupante, Saori (Sakura Ando – Penance, A man), la madre che lo sta crescendo da sola dopo aver perso il marito, lo interroga e individua nel maestro Hori (Eita Nagayama – September 1923) il responsabile del disagio che sta vivendo, chiedendo spiegazioni a lui e alla preside, la signora Makiko Fushimi (Yuko Tanaka – Dearest, Backwater), una donna reduce da una devastante tragedia, ricevendo in cambio nient’altro che scuse di circostanza, tali da indurre ulteriori tormenti.
In realtà, la questione è decisamente più ingarbugliata e ampia di quanto appaia a Saori, riguardando da vicino anche Yori (Hinata Hiiragi), un bambino bullizzato e particolarmente sensibile, che vive anche una deleteria situazione familiare.
Niente è quello che sembra e ci vorrà tanta pazienza per venirne – almeno parzialmente – a capo.
Premiata, con sacrosanta ragione, per la miglior sceneggiatura – di Yuji Sakamoto – a Cannes, L’innocenza è un’opera strutturata e magmatica che possiede molteplici qualità e inclinazioni, instaurando e concimando un proficuo dialogo con lo spettatore, chiamato a prendere/rivedere la sua (predis)posizione.
Con un modello che guarda a Rashomon, ma con funzioni finalizzate in maniera difforme, Hirokazu Kore’eda, che non si affidava a una sceneggiatura terza dai tempi di Maborosi, allestisce un modello di ricostruzione/decostruzione che affronta svariate tematiche con un encomiabile, equilibrato e costante senso della misura.
Segnatamente, scatena uno sciame sismico che accosta/sovrappone più punti di vista, dimostrando quanto la comprensione individuale sia parziale e necessiti di uno sforzo ulteriore, attualmente non comune, per individuare il bandolo della matassa, mettendo il dito nella piaga, con un discorso - locale e universale - che si districa sui disordini contemporanei, tra la crudeltà – indifferente, scoperta e gratuita – della gente, quelle valutazioni erronee che in troppi casi fanno testo e diventano legge, il desiderio di semplificazione che prende il sopravvento, anche quando non è tutto chiaro/risolto e i punti ciechi sono lapalissiani, e quelle disattenzioni di comodo che non fanno altro che rimandare le soluzioni.
Dunque, L’innocenza detiene un pantagruelico valore contenutistico, esercitato con una notevole/funzionale apertura mentale, e vanta una precisione aulica, con incastri propizi a doppia mandata, e un ordinamento che regola le prerogative, con una pista di atterraggio che esalta le doti dell’autore scavalcando gli steccati imposti e opprimenti, per lasciare libero sfogo all’immaginazione e all’istinto.
Infine, questa ricca e multipolare dissertazione, può contare su un’unità d’intenti più unica che rara, con un contorno compatto (vedasi la colonna sonora per palati fini di Ryuichi Sakamoto – L’ultimo imperatore, Furyo) e il pallino del gioco che passa da un protagonista all’altro alimentando un inesorabile percorso di scoperta e crescita, con una gestione dei giovanissimi che lascia semplicemente a bocca aperta, per intensità e spontaneità, per come acciuffa ed emette emozioni da pelle d’oca.
In definitiva, L’innocenza conferma e rilancia le quotazioni di Hirokazu Kore’eda, un autentico fuoriclasse in grado di esporre argomenti significativi con chiarezza e in purezza, anche quando, come in questo caso, deve giostrare parecchie opacità/sfaccettature/vulnerabilità e scegliere le modalità/tempistiche per immettere ogni singola indicazione.
Un vero e proprio esempio di cibo per l’anima, con un sopraffino grado di accortezza e un apodittico ricorso a espedienti narrativi che spostano e bilanciano gli oscillanti indicatori della ragione, per uno scrigno a più scomparti che mette in discussione il nostro modo di pensare, tra pulci nell’orecchio e patate bollenti, innocenze infrante e mostri che agiscono nell’oscurità, colpe diffuse e omissioni parziali, tante domande e risposte da ricercare senza soffermarsi alle apparenze, amicizie segrete e attrazioni inconfessabili (vedi, Close), rigidità istituzionali e dinamiche di pubblico dominio, discriminazioni e sofferenze, disfunzioni dichiarate e condizionamenti impliciti, paure ancestrali e rifugi incontaminati, da scovare per poter finalmente lasciare campo libero al sorriso.
Stimolante e munifico, stratificato e pregnante, di commovente/sapiente integrità.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta