Regia di Tom Harper vedi scheda film
La corsa – forsennata e chissà fino a che punto perseguita/gestita con l’imprescindibile coscienza - della tecnologia sta travolgendo le abitudini a ogni livello, dal più alto fino all’ultimo gradino della catena, quello occupato dai più indisposti degli utilizzatori finali, offrendo innegabili opportunità ma anche potenziali pericoli, con incognite dalla valutazione quantomeno incerta, se non critica.
Sull’argomento, il mondo dell’audiovisivo non ha mancato di far sentire la propria voce, in alcuni casi con largo anticipo (Terminator), in altri denotando doti da preveggente (Black mirror). Heart of stone non medita su queste qualità/prerogative e i suoi obiettivi sono prettamente rivolti all’ottenimento del maggior numero di visualizzazioni tuttavia, volente o meno, ci comunica qualcosa di significativo sull’attuale stato di fatto.
In maniera diretta, senza perderci il sonno, evitando quindi di sviscerare quei temi che comunque accenna/mostra, non lascia presagire nulla di buono, indirettamente fornisce l’ennesima controprova di come gli algoritmi, nello specifico quelli di Netflix, impongano limiti controproducenti e frustranti, depredati di qualunque forma di immaginazione, creando evidenti divari di qualità con i benchmark presi in esame.
In apparenza, Rachel Stone (Gal Gadot – Wonder Woman, Assassinio sul Nilo) è l’ultima ruota del carro di un’unità del MI6 capitanata da Parker (Jamie Dornan – Cinquanta sfumature di grigio, The fall) ma, nella realtà, presta servizio per la Charter, un’organizzazione che opera al di sopra di tutte le altre, seguendo i dettami di Nomad (Sophie Okonedo – Hotel Rwanda, Piccoli affari sporchi) e le puntuali indicazioni del Jack di cuori (Matthias Schweighofer – Army of thieves, Oppenheimer).
Quando Keya Dahwan (Alia Bhatt – RRR, Gangubai Kathiawadi), una hacker decisamente dotata che opera a briglia sciolta, crea scompiglio entrando nella maglie del sistema, Rachel dovrà bruciare la sua copertura per metterci una pezza.
Non sarà l’unica a uscire allo scoperto, dando il via a un duello in grado di determinare le sorti del mondo.
Mescolando/palleggiando azione e spionaggio, Heart of stone pare un film fuoriuscito da una seduta di calcolo, durante la quale sono emerse una miriade di aspetti/questioni/suppellettili da inserire, senza poi assicurarsi di fissare i paletti indispensabili per conferire agli stessi una convivenza funzionale.
Quindi, l’architrave è costruita pescando a mani basse dall’universo di Mission: impossibile, per poi soggiornare ad anni luce dal recente Mission: impossible – Dead reckoning – Parte 1 (il paragone sorge spontaneo e non lascia scampo), con pigmenti associabili allo storico di 007 e tanta farina proveniente dal sacco griffato Netflix (in prevalenza The gray man, in modesta parte Red Notice e chissà quant’altro di rintracciabile ci può essere), andando a nutrire un device fortemente declinato al femminile.
Ne scaturisce un prodotto che viaggia inevitabilmente a corrente alternata e con tempistiche barcollanti, che carica a testa bassa esibendo i muscoli quando l’azione la fa da padrona, come nell’incipit sulle nevi italiane, a seguire sulle strade di Lisbona e poi ad alta quota, che cambia spesso marcia senza però curarsi troppo di creare connessioni resistenti per ogni update.
Contiene anche considerazioni più elevate, ma non intende sporcarsi più di tanto le mani, tra armi a doppio taglio, le storture di un sistema per il quale il fine giustifica – sempre e comunque - i mezzi, segrete stanze e cani sciolti, con danni collaterali che producono infezioni e buone intenzioni risucchiate/contaminate/sbriciolate dal tritacarne del potere.
Insomma, il regista Tom Harper (Peaky blinders, The aeronauts) prende il toro per le corna, cerca di mettere a fuoco la sostanziosa materia disponibile riuscendovi solo parzialmente, con componenti ricorrenti talvolta invasive e riempimenti pleonastici, folate eclatanti e forzature seccanti.
Al di là di tutto, l’aitante e prodiga Gal Gadot non delude (almeno i suoi fan), sebbene il suo personaggio sia fin troppo ligio al senso del dovere (altro che cuore di pietra), mentre quasi tutti gli altri compagni di viaggio della sua Rachel agiscono in un’area grigia ma non hanno lo spazio per definirsi appieno, per quanto Alia Bhatt rilasci piacevoli sensazioni e Matthias Schweighofer aggiunga un filo di simpatia, mentre Jamie Dornan è eccessivamente e impulsivamente strattonato.
In sintesi, Heart of stone è un film roboante e zoppo, in alcuni frangenti saturo e in altri sguarnito, che si accontenta di vivacchiare, che ha in grembo parecchie opzioni molto promettenti preferendo confinarle in accenni/sussurri per andare sul(l’usato) sicuro. Un giocattolone che poteva facilmente essere qualcosa di più, con un ruolino di marcia nel quale si respira chiaramente aria di franchise, con stadi mutevoli e bombe a orologeria installate ovunque, sportellate e scappatoie, una corsa contro il tempo che si risolve sempre per il rotto della cuffia, facendo buon viso a cattivo gioco, rincarando la dose e andando a spasso per il globo (al solito, con i soldi non si risparmia in location spettacolari) senza fare troppo caso alle infrazioni del buon senso.
Spericolato e mediamente avvincente, dimostrativo e sbilanciato.
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