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L'autuomo

Regia di Marco Masi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'autuomo

di moonlightrosso
1 stelle

Fu davvero un capolavoro incompreso?

L'assidua frequentazione del web costituisce senz'altro per noi inguaribili adoratori del brutto, storicamente additati al pubblico ludibrio nonchè condannati senza prova d'appello alcuna alla gogna sociale, un'occasione per riscoprire e soprattutto far riscoprire ai malcapitati che, non sia mai, ci volessero malauguratamente seguire, pellicole sino a ieri ritenute irrecuperabili e relegate a un comprensibile quanto eterno oblìo.

Grazie alle incessanti ricerche del dissennato di turno, ecco dunque riapparire questo "L'autuomo", datato 1984 ma in realtà realizzato almeno un lustro prima, con il quale il semisconosciuto Marco Masi, dopo essersi cimentato con scarsissimi risultati in poveristici films di genere, tentò maldestramente di fuoriuscire dal cinema commerciale proponendosi finalmente come Autore con la "A" maiuscola.

Con questo delirante pseudo dramma sociofantascentifico della durata di circa un'ora (si è vociferato che il film sia mancante di un rullo ma, vi assicuro, è sufficiente così!!), il buon Masi avrebbe voluto, almeno nelle intenzioni, intraprendere un discorso critico e profondo sulla perdita dei valori umani, sull'imperante e schiavizzante consumismo e sulla condizione dell'uomo moderno, condannato al cinismo e all'insensibilità (mah!).

Una voce fuori campo con intonazione stentorea e un didascalismo fermi a certi documentari scolastici degli anni quaranta, dopo averci illuminato con ovvietà e frasi fatte da messa domenicale di paese, ci introduce in ciò che dovrebbe essere un congresso di cibernetica, ambientato, con tutta probabilità, nel salotto di casa del regista o di qualcuno della produzione; qui viene presentata davanti a una platea di scienziati (quattro poveri cristi in croce recuperati da qualche rituffo di Cinecittà e dintorni) l'androide (o meglio ginoide) Drusilla, una sorta di donna bionica "de noartri", penosamente rivestita da una miserrima tuta argentea presa in prestito, a quanto pare, da certa fantascienza nostrana a bassissimo costo, tipo la coeva e famigerata "pentalogia" di Alfonso Brescia, tanto per intenderci.

Uscito dal congresso, il nostro protagonista Abele (sic!), interpretato da un non meglio identificabile Tony Fox, con look a metà fra un Mario Cutini d'ordinanza e un eccebombiano Nanni Moretti, rivive inspiegabili flashback di funghi atomici disegnati sulla cartina geografica del continente africano (perchè mai?) e di immagini di una violenza carnale, il tutto piazzato lì completamente a casaccio. Il ricordo dell'amata Daniela (pulzella vagamente somigliante a una giovane e non ancora "milfizzata" Dagmar Lassander), costiutuisce l'espediente per consentire ad Abele di deliziarci con deliranti e pallosissime considerazioni filosofiche degne del peggior Pannacciò, al fine di dimostrare che gli uomini, ingabbiati irreversibilmente nella morsa del consumismo e dei beni materiali, avrebbero perso valori e ideali per trasformarsi in un esercito di automi o meglio di autuomi (sic!). Purtroppo Daniela rimarrà uccisa durante un fintissimo scontro a fuoco conseguente a una rapina o a un attentato terroristico (non ci è dato sapere).

Si ritorna dunque a Drusilla, la nostra donna bionica da quattro soldi, la quale, trasformatasi da androide a essere umano (cosa??), deciderà, di sua spontanea volontà, di fuggire con Abele, che, nel frattempo, si era introdotto furtivamente nel laboratorio in cui era custodita (praticamente la stessa location dello pseudo-congresso di cibernetica all'inizio del film).

Accusato di furto, Abele sarà processato nell'assurda cornice di un anfiteatro romano da tre misteriosi figuri incappucciati (??!!) e condannato a finire i suoi giorni internato in un manicomio.

Con un dilettantismo e una goffaggine senza pari, Marco Masi manda tutto il preteso impegno sociale e ogni velleità intellettualistica a farsi letteralmente benedire, confezionando, con una congerie di espedienti ad altissima gradazione di trash, un'occasione imperdibile per farci sbellicare di tante crasse risate involontarie. Basti pensare al testè citato scontro a fuoco in cui Daniela trova accidentalmente la morte, ricostruito in maniera talmente raffazzonata e penosa da far cadere le braccia, con i passanti che non trovano di meglio da dire se non "...poveretta, che disgrazia! Andiamocene a casa!!" e con Abele che si dispera evidenziando un pathos e un'espressività da far invidia all'"Antonio Barozzi" di "Sono Fotogenico". E poi ancora: la cialtroneria spacciata per sperimentalismo; le ambientazioni ultrapoveristiche; gli effetti speciali pietosi (la leva per dare corrente a Drusilla rasenta l'apogèo dello sculto!); i simbolismi strampalati e incomprensibili; le voragini di sceneggiatura riempite con quelle panoramiche che si perdono nel vuoto, tipo le riprese in superotto dalla finestra della casa in campagna del nonno.

Mai circolato nelle nostre sale e nemmeno mai presentato nei più scalcinati festivals (si pensi a quelli vinti dai vari Al Festa o Amasi Damiani), è stato recentemente riesumato dal c.s.c. (non chiedetemi il motivo in quanto lo ignoro!) per essere proiettato al cinema Trevi di Roma in una serata che pare sia stata ancora più trash del film in sè, alla presenza dello stesso Marco Masi in qualità di ospite d'onore (vedere per credere il relativo video su "Youtube" se ancora disponibile). Qui il nostro simpatico e pluriottuagenario cineasta con improponibile parrucchino "alla paggetto" e riconosciuto anche come attore nella parte di un cinico industriale, ha avuto quanto meno il buon gusto di non darsi troppe arie, demandando ai posteri ogni giudizio definitivo sulla pellicola.

In altre parole e glissando su eventuali scurrilità, fu veramente "L'Autuomo" un capolavoro incompreso? A voi l'ardua sentenza!

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