Regia di Zach Braff vedi scheda film
Good People.
Opera quarta dietro la MdP - fotografia (newjerseyca, come solo "the Sopranos" sanno esserlo) di Mauro Fiore (“Avatar”), montaggio di Dan Schalk (“the Bubble”) e musiche di Bryce Dessner (“Jockey”), mentre la chiusura è affidata alla “Deep In Love” di Bonny Light Horseman - dell’attore (Manhattan Murder Mystery, Scrubs, the High Cost of Living, In Dubious Battle, “Alex, Inc.”), regista (Going In Style, Solos), sceneggiatore (Garden State, Wish I Was Here) e a volte due o tutt’e tre le cose assieme, classe 1975, Zach Braff, “A Good Person”, da lui scritta, e interpretata da Florence Pugh (the Falling, Lady Macbeth, the Little Drummer Girl, MidSommar, Little Women, Don't Worry Darling, the Wonder, Oppenheimer, Dune: Part Two), qui - tra maglioni a rombi e t-shirt di Nick Cave - alla sua prova più “oscar classicheggiante” e con un paio di brani scritti, suonati e cantati da lei (I Hate Myself e the Best Part), farciti da una versione di “After Hours” dei Velvet Underground, e Morgan Freeman, che riecheggia pure lui classicheggiando da par suo, con contorno di Molly Shannon, Celeste O’Connor, Chinaza Uche e Zoe Lister-Jones, più un piccolo ruolo per Alex Wolff (“Hereditary”, “Pig”, “Old”) e un cameo di Jackie Hoffman (Shiva Baby, Only Murders In the Building, Glass Onion), dialoga a distanza ravvicinata (temporale e tematica) col “CauseWay” di Lila Neugebauer (con Jennifer Lawrence) e (s)finisce (le due ore abbondanti sono necessarie e la narrazione, tra alti e bassi, picchi e valli, le sfrutta e "riempie" a dovere) confluendo (e diluendosi) nel tempo, quella cosa che - se stoicamente (Amor Fati) gli sopravvivi, almeno per un po’ - rende le cicatrici parti tanto evenemenziali quanto strutturali di te.
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