Regia di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers, Justin K. Thompson vedi scheda film
A cinque anni di distanza dal fenomeno Spider-man – Un nuovo universo, anche vincitore di un meritatissimo Oscar, la Sony Pictures Animation continua con la sperimentazione in campo animato nel suo sequel Spider-Man: Across the Spider-Verse, secondo episodio di una trilogia che si concluderà, nel 2024, con Spider-Man: Beyond the Spider-Verse in una perfetta applicazione della regola aurea delle trilogie coniata dalla coppia George Lucas & Steven Spielberg, riuscendo a sfornare nuovamente un film d’animazione forse ancora più coraggioso (!) del suo predecessore attraverso una storia fruibile comunque da chiunque ma non proprio di facilissima assimilazione (soprattutto per i più giovani) in quanto i salti dimensionali e/o narrativi della trama, le motivazioni dei diversi protagonisti come anche il concetto di eroe e/o di antagonista risultano più sfumati, piuttosto articolati e più adatti quindi a un pubblico, forse, più maturo.
Il passaggio della regia da Bob Persichetti, Peter Ramsey & Rodney Rothman del precedente capitolo al nuovo trio Joaquim Dos Santos, Kemp Powers & Justin K. Thompson non pesa affatto in quanto la line autoriale (e, a quanto si racconta, anche quella dittatoriale) rimane saldamente in mano alla coppia Phil Lord & Christopher Miller, autori anche in questo caso della sceneggiatura insieme a David Callaham, e ben consapevoli, dopo la scommessa (stra)vinta del primo capitolo, di poter osare ancora di più dal punto di vista tecnico, e così premono ancora di più sul pedale dell’innovazione visiva e di uno stile volutamente esagerato, anche invadente, a volte, creando su schermo uno spettacolo strabordante, stupefacente e sbalorditivo, senza curarsi troppo del realismo ma, anzi, compiacendosi (perfino troppo?) dello stile (o è meglio dire stili?) del disegno, del suo eccesso psichedelico (!) come anche della (esagerata?) saturazione cromatica o di un montaggio quasi al limite del subliminale mentre l’incipit straripante della prima parte lascia spazio a una seconda invece molto più drammatica e frenetica.
Le sperimentazioni stilistiche partono immediatamente con il lungo prologo ambientato nell’universo di Gwen Stacy, dipinto con acquarelli impressionisti che cambiano al mutare delle sue emozioni, trascinandoci inesorabilmente in un delirio sensoriale che continuerà senza sosta per più di due ore.
E se nel primo capitolo erano diversi Spiderman a essere catapultati nel mondo di Miles Morales qui succede esattamente il contrario, con Spiderman in viaggio per i diversi universi con una diversa incarnazione dell’eroe in ogni mondo, ognuno caratterizzato con un proprio stile animato, caratteristico e canonico per quell’universo, in una ibridazione dei generi e di tecnica che crea qualcosa di assolutamente unico e originale (ma personalmente ritengo in tal senso più innovativo il precedente I Mitchell contro le macchine mentre questo è più un proseguo, in un contesto molto più grande ed elaborato, delle intuizioni del primo capitolo).
Già con Un nuovo Universo la Sony aveva deciso di evadere da una gabbia di preconcetti per dimostrare invece il “vero” potenziale esplosivo dell’arte animata cercando di raggiungere livelli eccezionali, livelli che ora intende ulteriormente superare con questo secondo capitolo e una sua personalissima cifra stilistica così spudoratamente sovraccarica che, nonostante l’eccezionale comparto tecnico-artistico, a volte può risultare frustante.
Un altro appunto da fare è anche la scelta di non essere (o di non poter essere) autoconclusivo, costruendo un importantissimo cliffhanger nel convulso finale dilatando quindi (eccessivamente?) la storia in prospettiva di un conclusivo (!?) terzo capitolo a promessa di nuove, ulteriori meraviglie ma in questo modo, specie nella seconda parte, il film finisce per procedere soprattutto per accumulo.
Di personaggi, di stili, di animazioni e di colori o diverse sfumature e toni, saltando di metaverso in metaverso tra decine di versioni differenti di Spiderman e gonfiandosi oltre misura, anche a dispetto di una certa coerenza narrativa (la teoria del “canone” è alquanto fumosa e, forse, è stata già contraddetta nella stessa pellicola mentre il multiverso non viene affatto spiegata dando quasi per scontato che, data la sua introduzione negli ultimi anni in molte pellicole anche di supereroi, questa sia già a conoscenza della maggior parte del pubblico) e non riuscendo nemmeno a terminare il discorso, lasciando in sospeso diverse domande rimandandone le risposte al capitolo successivo (ma lasciando monca di tali risvolti questa pellicola) e concedendo molto del gradimento finale alla tenuta mentale (e sinaptica) dello spettatore (la mia ha iniziato a cedere a quaranta minuti dalla fine), talmente sopraffatto dalle immagine dallo scoprire, alla fine, di non stupirci (meravigliarci?) ormai più di niente.
E non è detto che questo sia necessariamente un bene.
VOTO: 7,5
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta