Regia di David Redmon, Ashley Sabin vedi scheda film
Chapter 1 – From the Big Apple to the Little Orange
E c’era una volta… quando – nei primissimi anni ‘80 – l’intero mondo della distribuzione e della fruizione cinematografica, venne sconvolto dalla nascita dell’home video (alla metà esatta del decennio, il formato VHS High Quality sigillerà i primi anni di sperimentazioni, scontri tra major ed intuizioni imprenditoriali), l’idea che la politica dell’immagine potesse essere frazionata e redistribuita. Il sapere cinematografico, resosi indipendente dalle catene distributive delle sale e dall’oligarchia televisiva, si può dunque affittare, registrare e catalogare anche dentro al salotto di casa propria!
Nei primi mesi del 1981, Lance Lawson affitta un bugigattolo al numero 1822 di Sepulveda Boulevard, a Manhattan Beach, vicino Los Angeles; lo inizia a riempire di tutto il materiale cinematografico, sia ‘commerciale’ che soprattutto ‘indipendente’, che trova su nastro analogico. Così nascono i Video Archives, meglio noti come i Vidarc. Proprio in questo modo ha inizio tutto.
Partono, in vari periodi di quel decennio e nei primissimi anni di quello successivo, ‘avventure’ simili. Il West Cinefile losangelino, il Vidiot’s di Santa Monica, la Videomatica di Vancouver; prende piede e soppianta un po’ tutti, la grande catena della Blockbuster Video che – dal 1985 ed in meno di un decennio – apre quasi 5 mila negozi di vendita/affitto di supporti cinematografici ed arriva a contare più di 50 milioni di soci.
Due anni dopo la nascita di questo impero tentacolare, un signore newyorchese di origini coreane, Yongman Kim, apre nell’East Village di Manhattan il suo “Mondo Kim’s”; parte con 8 mila vhs e poche centinaia di aficionados. Finirà con l’avere quattro punti commerciali, qualche centinaio di migliaia di dvd e nastri analogici ‘a rent’, decine di dipendenti, 200 mila clienti nel proprio database.
Una visione di cos’era la Kim’s Video a New York, ce la può suscitare ciò che dice Sabrina Melis, studentessa del Dipartimento di Architettura di Milano ed ideatrice di un progetto (ancora in cerca di enti che possano promuoverlo e farlo sviluppare), di ricostruzione filologica del rapporto videoutenza / materiali della Collezione.
“La Kim’s Video ha assunto nel tempo un ruolo molto più importante rispetto a quello di semplice videoteca. I suoi oggetti, manipolati fisicamente da più persone, hanno accumulato una moltitudine di tracce, lasciandone altre a loro volta, spesso non legate direttamente ai film, ma all’esperienza vissuta all’interno dello spazio”. E la Melis aggiunge: “Pochi minuti di piacere e di ricerca che in nessun altro luogo si possono vivere, così come intendeva mr. Kim. Alcuni ex utenti di Mondo Kim’s mi hanno raccontato degli aneddoti legati alla visita, allo scambio di pareri e di informazioni con le altre persone e con i commessi. Ad esempio, uno di questi, era solito raccontare che l’attore e regista Vincent Gallo li chiamava abitualmente per sapere se qualcuno aveva noleggiato i suoi film, e se poteva avere i loro contatti. Lo stesso luogo era abitato quindi sia dai fruitori che dai protagonisti del mondo cinematografico, un vero e proprio interscambio di ricordi, competenze e soprattutto esperienze. Nel mio video (“I assume it’s me”, ndr) cerco di ipotizzare cosa può aver immagazzinato l’Archivio durante la sua vita, ciò che ha formato la sua identità. Per farlo è stato necessario entrare in contatto con chi l’aveva realmente vissuto, compreso il suo fondatore mr. Kim, ascoltare i loro racconti e tradurli con il linguaggio proprio dell’Archivio: le scene dei film presenti al suo interno”.
Purtroppo (o naturalmente) i tempi cambiano, le epoche si aggiornano e vanno avanti tecnologie, usi e costumi sociali. Anche la fruizione culturale segue le maree umane. Agli albori del nuovo secolo/millennio, Kim altro non può fare che iniziare a constatare come il massiccio uso della Rete informatica, lentamente ma inesorabilmente, inizia ad erodere il suo pubblico. Ed i suoi affari.
Nel 2008, dopo vari tentativi andati a vuoto, l’imprenditore newyorchese decide di disfarsi di un pezzo importante della sua ‘creatura’ e di donarla gratuitamente; mette un annuncio pubblico e chiede che si trovi un soggetto capace di acquisire per intero un quarto (praticamente) di Mondo Kim’s, di preservarlo, di arricchirlo con nuovi supporti di cinema internazionale e di metterlo a disposizione di quanto più pubblico possibile.
Grazie alla mediazione di Franca Pauli, coordinatrice della Fondazione Clio di Venezia, Oliviero Toscani, neo assessore della Città di Salemi, vola a New York e – promettendo un ‘terremoto culturale’ in Sicilia – si accaparra l’offerta. Clamorosamente soffiandola a mezzo mondo, comprese alcune notorie università statunitensi!
Forte della presenza di gente come Marco Bellocchio e Gregorio Napoli, della disponibilità di un genio qual è enricoghezzi©, dell’appoggio della Biennale di Venezia (disposta a fare di Salemi un polo multiculturale di richiamo mondiale) e di un primo finanziamento regionale di quasi 300 mila euro, Vittorio Sgarbi decide, ed annuncia urbis et orbis, di voler fondare nel cuore della Valle del Belìce, la “prima capitale internazionale del cinema indipendente”!
Chapter 2 – From the Little Orange to the Dried Plum
Secondo la giornalista Veronica Femminino, erano 60 mila. A sentire Vittorio Sgarbi, 55 mila. Ma per la responsabile della digitalizzazione, Antonina Grillo, si riducevano a 46 mila. Insomma, quanti supporti giunsero a Salemi, nei primi mesi del 2009, donati dalle mani sante di Yongman Kim?
Nessuno lo sa con esattezza; si sa oltre, ogni ragionevole dubbio, che nel febbraio di sette anni dopo, i volontari dell’associazione che si offrì di stilare un primo elenco di quello che giaceva sugli scaffali della Collezione, contarono 24.677 dvd e 11.609 vhs. Che fanno all’incirca 36 mila…
Nascono da questo equivoco di fondo – non aver mai contato e controllato esattamente, quello che giunse nel Belìce dentro ad un grande container –, tutta una serie di vertiginose ipotesi, teorie complottiste e strabilianti (e mai provate) leggende metropolitane che hanno spesso accompagnato l’avventura in terra sicula della più famosa raccolta di sapere cinematografico dell’East Village. E che, anche troppo volutamente, ne hanno minimizzato il grande valore documentale e filologico.
Sia come sia, le premesse – cinquemila e passa giorni fa – erano comunque rosee.
L’impulso che diede la Kim’s Video Collection alle attività della giunta Sgarbi, risultò fenomenale. Almeno all’inizio. Incontri ad alto livello, registi di fama nazionale in giro per la città (il premio alla carriera dato a Gualtiero Jacopetti), festival pubblicizzati sulle riviste di settore “Duellanti” e “Ciak TV”, addirittura la prima nazionale di un film d’autore – “Donne senza uomini” dell’iraniana Shirin Neshat –, nel giardino del castello normanno svevo in una indimenticabile serata di gala.
Ma è una spinta che dura poco.
Con Franca Pauli malamente allontanata dal progetto e dalla città (Toscani la odiava), il critico cinematografico Gregorio Napoli – l’unico nocchiero che avrebbe tenuto dritto il timone della nave – purtroppo presto vinto ed annientato dalla malattia, con lo stesso Oliviero Toscani in rotta di collisione con l’intera Giunta e fuggito via dall’isola (non prima, comunque, di aver annunciato l’avvenuto saccheggio della Collezione da parte di ignoti!), e tutta la pletora di prestigiosi collaboratori diligentemente defilatisi, quello a cui tocca assistere è il balletto di ‘gruppi di lavoro’, spesso accomunati da un unico, grande pregio. La buona volontà…
A Salemi, in alcuni ambienti, circolano ancora strane storie sul lungo periodo ‘oscuro’ della Collezione; noi non cederemo alle dicerie ed alle infamie, ma è anche chiaro che qui alcune cose le si dovrà mettere a registro. Di sicuro sia il gruppo dei ‘Toscani’s boys’, sia il successivo assembramento di ‘menti creative’ guidate direttamente dal sindaco Sgarbi, poco si curano di seguire i vari punti del protocollo siglato con mister Kim. Per lunghissimo tempo, i supporti giacciono dentro alle centinaia di scatoloni, in parte alla mercè dei raggi solari e dell’umidità; non si redige alcun inventario, si comunicano – saltuariamente – notizie di contorno sullo stato generale della Collezione e, cosa che stupisce più di un cinefilo della zona, non si cerca di coinvolgere il territorio (fondare un cineclub, chiamando a raccolta i non numerosi cinefili sparsi nell’hinterland, sembrerebbe la prima cosa da fare… che, ovviamente, non si fa!). Leggenda vuole (in realtà, ‘fatto veritiero’ con più di un testimone oculare), che davanti ad un gruppetto di volenterosi ‘indigeni’ amanti dell’arte e del volontariato, giunti in biblioteca per proporre di catalogare e mettere a disposizione di tutti la sezione del ‘silent cinema’ (più di 1000 supporti dvd, alcuni pezzi rari ed altre innumerevoli vhs), il coordinatore progettuale di allora, e cioè Nicolas Ballario (poi fortunato commentatore del programma su Rai2, ‘Sbandati’ e da sempre ‘personaggio prezzemolino’ nel parterre dell’universo radicale, ed intendo il PR e non i Black Blocks!), se ne uscì ringraziando ma declinando l’offerta. “Per la catalogazione, vi anticipo che attendiamo notizia di un macchinario da Venezia. Praticamente, si buttano dentro alla rinfusa le custodie dei film e, dopo pochi minuti, dall’altro lato esce fuori uno stampato con i titoli”, fece il Ballario.
‘La macchina veneta’ è ancora modo di dire, tra i fortunati convitati a quella discussione, per avvisare l’arrivo di una spudorata balla che colpisce a tradimento e fa stramazzare a terra il discorso!
Questo non per burlarsi di qualcuno, ma solo per far capire che aria tirava negli uffici dove – ci si illudeva noi tutti – si sarebbe dovuta assicurare nuova vita alla più interessante donazione cinematografica mai giunta in terra siciliana.
Così vanno le cose agli umani, e così gli Dei pervertono a più non posso le sorti delle nostre tristi città. Volgeva al tramonto l’anno 2011, e successe che la legge si mosse a tirar giù dal suo (sempre più polveroso e scomodo) trono belicino, il tenebroso Vittorio Sgarbi. Che raccolse in fretta e furia i suoi ferri del mestiere e, caricati su vari camiòn, se li riportò a casa. Si fosse caricato pure la Kim’s Video Collection, sibila qualche maligno, ci avrebbe tolto le castagne dal fuoco. E invece no!
Chapter 3 – From Dried Plum to Blossoming Almond Tree
Qualcosa pare cambiare, per le sorti della Collezione e per l’umore vostro, nel 2016.
L’amministrazione eletta due anni prima apre ad una collaborazione con un’associazione locale e così, anche se con zero fondi e con l’attenzione al minimo sindacale, si inizia a lavorare con metodo e finalità certe. Anche a fare luce, volenti o nolenti, sull’epica disfatta del progetto Tosco-Sgarbiano di qualche lustro prima.
È direttamente dalle vive parole del suo rappresentante, Silvio Spisso, che andiamo a cogliere la filosofia che ha spinto il ‘piccolo branco di cinefili volontari’ (di cui faceva anche parte il Vostro affabulatore) ad affrontare una tale imbarazzante scommessa. Riuscire a trovare il bandolo della matassa, lì dove avevano (volutamente?) fallito decine di ‘creativi’ ed un pugno di tecnici in vena di burle sapientissime.
“L’associazione Cuncuma si è interessata alla Collezione fin dal suo arrivo a Salemi. Allora eravamo singoli appassionati di cinema che poi hanno deciso di riunirsi in associazione. Sinceramente siamo passati dallo stupore iniziale alla consapevolezza che il nostro territorio ospita una vera e propria perla, un tesoro inestimabile che, purtroppo, non è mai stato valorizzato come merita”.
Impossibile qui far avere idea, a chi legge, dell’immane lavoro che i donchisciotte di provincia (mai avvenne nelle nostre terre fenomeno più bistrattato del ‘donchisciottismo’, e di provincia poi!), devono affrontare non appena varcate la soglia dei locali di via Chinnici.
Passano dei lunghi mesi invernali, scaldati alla meno peggio da alcune stufette elettriche, a ripulire migliaia e migliaia di custodie cartonate di supporti vhs, oramai in preda alle muffe. Spostano sugli scaffali alcune intere sezioni, messe a casaccio da chi li aveva preceduti. Lì dove pensano di fare tesoro del poco lavoro avuto in eredità, si accorgono di dover ricominciare daccapo. Una situazione snervante, per molti versi.
“Di ciò che hanno fatto le precedenti truppe cammellate, abbiamo solo trovato un inventario parziale con supporti posizionati male sullo scaffale ed un catalogo generico e scriteriato”, continua Spisso, “e ad oggi non ci capacitiamo, di come non si siano spesi nel modo migliore i soldi del bando vinto dall’amministrazione Sgarbi. Argomento meglio: se si vince un bando per digitalizzare ed inventariare l’archivio cinematografico, perché non si è completato il lavoro? Non ha senso...”.
I nostri, con soldi di tasca propria, montano una stazione video (monitor hq, due lettori vhs, un lettore ‘americano’ di dvd, un riavvolgitore di nastri video), ed iniziano a visionare e catalogare migliaia di supporti. Condensano un prontuario per definire le modalità operative (una sorta di ‘regola di ingaggio’ per la catalogazione della Collezione), strumento primario e a cui nessuno aveva finora pensato e, con lunghe pause dovute ad impegni personali ed alle proibitive condizioni climatiche dei locali (freddo intenso invernale, forno a microonde in estate), riescono a dettare le prime linee per una conoscenza meno ‘astratta’ e più sostanziale del patrimonio in questione.
Cùncuma lavora sulla Collezione per poco più di tre anni (il tempo effettivo cronometrato, tolti gli impegni personali, gli scazzi vari, l’attesa del rinnovo della convenzione, il gelo invernale, l’afa estiva, il COVID, etc etc), raggiungendo alcuni piccoli risultati (la salvaguardia del salvaguardabile, la ricostruzione di alcune sezioni originali che erano state smembrate e disperse, la costituzione di un database con il meglio del cinema d’autore e delle assolute rarità che dovevano essere digitalizzate e sottotitolate per il pubblico non anglofono, la richiesta mai esaudita di accorpare al patrimonio librario della biblioteca comunale queste parti ‘preziose’ della Collezione, l’idea di ricreare una collezione digitale con nuove finalità e migliaia di file donati da alcuni appassionati). Quando si tenta di fare il salto di qualità, anche con l’aiuto della Columbia University di Montreal e con un loro piano di fruizione e di promozione, la cara, vecchia politica si mobilita per smontare subito tutto!
Chapter 4 – From Blossoming Almond Tree to Big Apple
Eppure la politica, alla fine, una decisione la prenderà sul destino della Collezione.
Su ciò che succede a Salemi (e di riflesso a New York), tra il 2017 ed il 2022, tenta di far luce questo documentario (ma viste le meta-costruzioni e la rivisitazione del tutto personale di fatti acclarati, sarebbe il caso di definirlo ‘docufilm’), del regista texano David Redmon. Il Redmon non è molto conosciuto in Italia, sua unica opera che potete recuperare è un libro+DVD della ‘Real Cinema Feltrinelli’, l’inquietante “Girl model” su un giro di modelle-bambine che dai paesi dell’Est finiscono spesso in giri di prostituzione per ricchi occidentali, autodistruggendosi psicologicamente o rimanendo vittime di aggressioni e misteriose sparizioni. “Un lavoro scioccante, che mi ha fatto temere per un po’ di tempo anche sulla incolumità mia e di mia moglie”, mi confidò lo stesso regista, durante una lunga ed amichevole conversazione. “Ho iniziato con il seguire le speranze e le illusioni di queste ragazzine, e son finito per indagare su milionari presidenti di famosi club di calcio europei e su notissimi uomini della finanza di cui non voglio, per nessuna ragione al mondo, farti i nomi!”, e rivedendo quei settanta e passa minuti di montato, accompagnandoli con la lettura dell’intervento di Anna Maria Pasetti, brucia ancor più constatare che a me, sinceramente, questo “Kim’s Video” non è piaciuto. Quasi per nulla.
Andiamo con ordine. Certo, i primi venti minuti tengono incollati allo schermo; la ricostruzione di ciò che avviene nell’East Side newyorchese nella seconda metà degli anni ‘80, è davvero interessante. La figura di questo spilungone koreano che partito da una bancarella di frutta e verdura passa a duplicare e ‘spacciare’ mediometraggi di Jan Svankmajer e Dominique Deruddere, attira subito la nostra attenzione e la magnetizza su immagini sfocate, ‘strane’, meravigliosamente impure. Yongman Kim sembra presentarsi come uno sciamano capace di farci attraversare la soglia del media, per depositare il nostro stupore in una dimensione sconosciuta. Ma, purtroppo, ed improvvisamente, nel documentario, con l’arrivo di David in Sicilia, si sente subito un cambio netto di stile e di afflato. Appena intravista la ‘skyline’ del paesino trapanese (in uno sconcio ed inopportuno reflex con Corleone, addirittura!), parte a mille una pianificata messa in berlina di una comunità arcaico-digitale per quanto si vuole, e para-mafiosa (o per meglio dire, pseudo-legale) certamente, ma che non può essere ancora sfanculata con le immagini primordiali del “Godfather” o ricondotta ad un terremoto che l’ha solo danneggiata in minima parte (non completamente distrutta, come viene erroneamente detto da Glen Hyman) e che, anzi, è risultato essere fonte di benessere (soprattutto privato) e di speranze poi disilluse (per ciò che riguarda i progetti civici e di natura pubblica). Il nostro regista percorre su e giù l’Italia in cerca di prove che confermino il suo plot, e cioè che un ras locale (Pino Giammarinaro) ha messo le mani sulla Kim’s Video Collection e ne ha decretato la razzìa ed il successivo abbandono, ma spesso sbaglia interlocutori. Intervista Vittorio Sgarbi che all’epoca disse pubblicamente di non capire un cazzo di cinema e si addormentò impunemente alla prima del film di Battiato, invece di scomodare Oliviero Toscani che del patrimonio newyorchese sa vita, morte e miracoli, che ha sempre ambito a ghermirne le sue parti più rare e preziose e, non riuscendovi (almeno suppongo), andò via con il dente del giudizio avvelenato. Il film trova una miscela da sturbo legando le riprese fatte per il documentario con spezzoni di capolavori cinematografici e facendo scorrere il flusso narrativo con soave arroganza; ma questo splendido giocattolo, Redmon lo smonta, lo travìa e lo annulla per tutta la sua missione in terra sicula. Non rivendica a Salemi gli antichi e profondi rapporti che il territorio ha con il cinema (passarono da qui Roberto Rossellini, Francesco Rosi, Enzo Provenzale, Franco Maresco, Fabio Grassadonia ed Antonio Piazza), che gli avrebbero permesso di rimodulare la formula ed affascinare ancora con questa favola senza tempo. Non inquadra alcuni personaggi, che rivedo ballonzolare e ridere in alcuni filmati di repertorio, e che sono sicuramente stati gli artefici del disastro totale. Non indaga, anche sapendo benissimo, secondo me, dove sta realmente il marcio in questa storia. Insomma, il coraggio e la durezza di “Girl model” diventano slapstick di second’ordine. Come a dire: “Ci butto sopra un po’ di polvere di mafia, e il sapore stantìo il pubblico yankee e koreano non lo sentiranno!”. Ed infatti le attenzioni verso “Kim’s Video” son venute dal Sundace al Tribeca fino ad alcuni festival orientali, lì dove mister Kim gioca praticamente in casa; a Roma il documentario è stato accolto tipedamente e, almeno fino ad oggi, non pare possa interessare alcun distributore italiano.
E sì... perché legare la morte, improvvisa e naturale, del povero prefetto Falco ad un complotto di cui non vediamo né capo e né coda? Perché non discutere, anche a muso duro, con chi sulla Collezione c’ha lavorato sognando di darle una nuova pelle? Perché affermare che Salemi è un paese senza cultura, quando le bellissime musiche del film sono farina del sacco di Enrico Tilotta, un salemitano che tra l’altro ha vigilato per anni su DVD e Vhs? Perché chiedere a dei pensionati bonaccioni, notizie sulla Kim’s Video Collection? Sicuri che, nei primi anni ‘90, la stessa domanda posta ad una massaia del South Bronx o ad un netturbino dei Five Points avrebbe avuto un effetto diverso?
Tanti perché… anche troppi, carissimo David!
P.S.: Siccome la mia è una posizione un po’ astiosa e molto condizionata dal vissuto di questi ultimi quindici anni, magari a voi il meccanismo di finzione di David potrà pure piacere; ho pensato quindi di mettervi il link del film… guardatelo, vi sarei grato se potesse nascere una serena e franca discussione su molti dei temi che “Kim’s Video”, comunque, si prende il rischio di affrontare.
Kim's Video_Italian_720 on Vimeo
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