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Fantastic Machine

Regia di Axel Danielson, Maximilien Van Aertryck vedi scheda film

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La recensione su Fantastic Machine

di barabbovich
8 stelle

Dall'invenzione del dagherrotipo, passando per il nickelodeon, per arrivare all'esplosione di immagini dell'era digitale, numeri impressionanti, miliardi di ore di "girato" ogni giorno. È questo il menù che ci propongono i due sociologi prestati al cinema: una carrellata che - puntellata dalla mai invadente voce di off di Elio Germano - propone una riflessione che richiama, alla lontana, la splendida The Story of Film di Mark Cousins in forma liofilizzata (un'ora e mezza scarsa), calandola in una lettura più strettamente sociologica, una riflessione disincantata su meraviglie e (soprattutto) minacce di un dispositivo (meglio: di più dispositivi) per le immagini. Senza un preciso filo conduttore e con qualche oscillazione temporale di troppo, il film mostra la quintessenza della società dello spettacolo di debordiana memoria (lo stesso Debord ne fece un film, oggi introvabile): dall'uso scientifico dei fratelli Lumiere agli eccessi di chi rischia la vita per un selfie, Instagram, Tik Tok, Onlyfans, fino alla contraffazione della realtà attraverso le immagini, Fantastic Machine è un bombardamento visivo che trova il suo culmine nella sequenza dell'uomo che, recatosi presso alcuni studi televisivi americani per un colloquio di lavoro, viene scambiato per un altro e intervistato in qualità di esperto dei meccanismi del mercato discografico. È l'epitome della deriva che oggi ha preso la cultura del narcisismo, di cui il film scava i meandri oscuri, comici, innovativi, sconcertanti, in una lettura che - filtrata attraverso l'occhio produttivo di un irregolare come Ruben Östlund (quello di Forza maggiore, The Square, Triangle of Sadness), qui in veste di produttore esecutivo - sposta la bilancia del consuntivo assai più sul piatto della menzogna che su quello della realtà.

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