Regia di Luchino Visconti vedi scheda film
L'avanzata prepotente e chiassosa della nuova borghesia, volgare e dedita a falsi valori come quello dell'arricchimento facile che l'ha vista salire la scala sociale con troppa facilità e velocità. Non c'è davvero null'altro in questo film, che sarebbe sconcertante per la sua vacuità, se non fosse che è di Visconti: tutto normale per lui. Una lentezza esasperante ed un senso gravissimo di claustrofobia permeano la pellicola, con l'azione (ma quale azione? in sostanza ci sono quasi solamente dialoghi) sempre, perennemente inchiodata fra quattro mura ed un richiamo sottile alla morte nella figura del professore prossimo alla vecchiaia e sazio dei piaceri della vita - ciò che in fondo lo distanzia così tanto dallo spregiudicato nuovo vicinato. E se il professore prova a cambiare, a confrontarsi con i vicini (in una sorta di processo per mettersi al passo con i tempi), essi non danno alcun segno di cedimento e proseguono nella loro stolida amoralità. Atto di accusa sociale morbosamente, ossessivamente lento e macchinoso.
Un professore di scienze in pensione vive solo, circondato da quadri e libri, in un lussuoso appartamento romano. Una chiassosa e volgare donna viene a chiedergli di affittare l'appartamento sopra al suo, ma il professore non vuole saperne. L'arroganza e la faccia di bronzo della donna avranno la meglio e nell'appartamento si sistemeranno lei, il suo giovane amante e la figlia, generando una serie di problemi e fastidi al professore.
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