Regia di Amir Naderi vedi scheda film
Dell'alfabeto urlato dal protagonista nella sequenza finale de Il Corridore, giunge, comunque, forse sbiadito, fino all'America, l'eco: A, B, C...
Ecco che, allora, per l'ennesima volta, si riparte dall'alfabeto, simbolo di una nuova occasione, affinché si possa ricominciare da capo. Riniziare. Un'eterna altra chance. A, B, C...
L'ossessione naderiana come ricerca di un miracolo originario ed originante [l'acqua, il suono, la luce...]; di un ritorno alle origini, nonché al ventre dell'Immagine, raggiungibile scavando vorticosamente e profondamente in essa. Scavando talmente in profondità che si ritorna addirittura alla fotografia. Immagine-prima. L'Immagine iniziale ed immobile. L'inizio. Prima anche del suono. L' A, B, C...
Un'involuzione, quindi, come unico miracolo possibile in una società di rapporti, epilettici, troppo evoluti, nonché compromessi, e di sogni irrealizzabili. Per Naderi, anche la conclusione può essere un miracolo, poiché la fine può portare ad un nuovo inizio. Ad una nuova attesa. A delle nuove, spasmodiche ossessioni. Poiché è sempre un cinema di origini, il suo,che urla in eterno, verso il vuoto, l'A, B, C... aspettando un altro inizio; un'altra conclusione.
Ed ora pronti ad una nuova corsa (echi di un corridore mai troppo stanco).
Perché il cinema è un atto di fede.
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Quello di Amir Naderi è un cinema-mondo, nonché cinema-di-vita: le sue opere son composte quasi sempre da ricordi e raccordi biografici.
Come, appunto, scrive Tommaso Pagnutti, un amico del sottoscritto: "Il mondo è il suo set, il soggetto è lui. Il cinema è la sua sfida e la sua (e nostra) magnifica ossessione"
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