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Eileen

Regia di William Oldroyd vedi scheda film

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La recensione su Eileen

di mck
8 stelle

Feu Froid.

 

 

Carol? (Haynes/Highsmith.) O Nathalie/Chloe? (Fontaine/Egoyan.) O Ingrid, Nancy, Saint Maude... Nel gorgo delle convenzioni: Crime d'Amour / Passion.

Sembravo una di quelle ragazze che vi aspettereste di vedere sull'autobus in città, immersa in qualche vecchio libro di piante o di geografia preso dalla biblioteca, e con i capelli castano chiaro magari avvolti in una retina. Potevo essere una che studia da infermiera o una dattilografa, avreste notato le mani nervose, un piede che dondola, il labbro mordicchiato. Non avevo niente di speciale. È facile per me immaginare questa ragazza, una versione di me stessa strana, giovane e introversa, che si porta dietro un'anonima borsa di pelle o pesca noccioline da un pacchetto, se le rigira una per una tra le dita coperte dai guanti e risucchia le guance guardando ansiosa fuori dal finestrino. Al mattino il sole illuminava la peluria sottile sul mio viso, che cercavo di coprire con la cipria compatta, di una tonalità un po' troppo rosata per la mia carnagione pallida. Ero magra, spigolosa, i movimenti a scatti, incerti, la postura rigida. Avevo la faccia piena di cicatrici da acne, lisce ma evidenti, che offuscavano qualsiasi dolcezza o follia si nascondesse dietro quell'aspetto freddo e cadaverico da New England. Con gli occhiali potevo sembrare un'intellettuale, ma ero troppo impaziente per essere davvero un'intellettuale. Avreste detto che mi piacesse l'immobilità delle stanze chiuse, che trovassi conforto nel silenzio totale, con lo sguardo che si sposta lentamente tra carta, pareti, tendaggi pesanti, i pensieri che non abbandonano mai quello che gli occhi identificano - libro, scrivania, albero, persona. Invece, io detestavo il silenzio. Detestavo l'immobilità. Odiavo praticamente tutto. Ero sempre molto infelice e arrabbiata. Cercavo di controllarmi, e questo mi rendeva soltanto più goffa, infelice e arrabbiata. Ero come Giovanna d'Arco, o Amleto, ma ero nata nella vita sbagliata - la vita di un nessuno, una trovatella, invisibile. Non c'è un modo migliore di spiegarlo: non ero me stessa, a quel tempo. Ero qualcun altro. Ero Eileen.     
(Incipit del romanzo; traduzione di Gioia Guerzoni per Mondadori.)

 

“Sei diversa, ultimamente... Sei quasi interessante.” — Jim, il padre di Eileen, alla figlia. 

“Segreti e bugie. Te lo dico, bambola, alcune famiglie sono così malate, così contorte, che l’unica via d’uscita è che qualcuno muoia.” — Rebecca (il PdV nascosto, segreto, celato - alla protagonista e allo spettatore - del film) a Eileen.

 


Eileen”, il 2° lungometraggio diretto dal puro metteur en scène William Oldroyd dopo “Lady Macbeth” e i corti “Christ’s Dog”, “In Mid Wickedness” e “Best”, conferma, senza incrementarne la resa, le talentuose capacità del regista espresse nell’opera precedente: scritto – dopo un primo trattamento poi cestinato di Erin Cressida Wilson (“Secretary”, “Fur”, “Chloe”, “Men, Women & Children”) – da Ottessa Moshfegh, l’autrice (“HomeSick for Another World”, “My Year of Rest and Relaxation”, “Death in Her Hands”, “Lapvona”) dell’omonimo romanzo del 2015 da cui è tratto, con la collaborazione del marito Luke Goebel (sono la coppia che ha rimaneggiato la sceneggiatura di “CauseWay” redatta da Elizabeth Sanders), fotografato umbratilmente (quanto può essere uggioso il Massachusetts? Chiedetelo al New Jersey!) da Ari Wegner (“Lady Macbeth”, “In Fabric”, “the Power of the Dog”, “the Wonder”, “Drive-Away Dolls”), montato con polso fermo da Nick Emerson (“Lady Macbeth”, “Daphne”, “Pin Cushion”, “An Evening with Beverly Luff Linn”, “Greta”), eccellentemente musicato con jazzistica pervasività da Richard Reed Parry (“the Nest”) degli Arcade Fire (più Nancy Wilson, Art Neville, Bobby “Blue” Bland, the Exciters, Connie Conway…) ed interpretato da 4 attori principali grandiosi quali Thomasin McKenzie (“Leave No Trace”, “Old”, “Last Night in Soho”, “the Power of the Dog”), Anne Hathaway (Rachel Getting Married, Interstellar, Colossal, Solos, Armageddon Time), Shea Whigham (“Boardwalk Empire”, “Take Shelter”, “True Detective”, “Fargo”, “Lawmen: Bass Reeves”) e Marin Ireland (“Sneaky Pete”, “Hell or High Water”, “In the Radiant City”, “the Irishman”) e da un cast secondario non da meno composto da Sam Nivola (“White Noise”), Owen Teague (“Bloodline”, “To Leslie”, “Reptile”), Jefferson White (“YellowStone”) e Siobhan Fallon Hogan (“the House That Jack Built”), è un film compatto (opprimente) e al contempo permeabile (empatico) che raduna in un fagotto la speranza residua (i cascami, i lacerti e le rigaglie - e un mucchio straccio di verdoni messi da parte in un lustro fantasma - di scarto dall’implosione dell’irreparabile compiuto) e si spinge per inerzia verso il futuro (che del resto comunque arriva lo stesso, e allora tanto vale andargl’incontro) lasciandosi trascinare dalla corrente di una highway.

 

 

* * * ¾ (****)    

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