Regia di George A. Romero vedi scheda film
“I warned you, Martin. Nobody in the town, I said. Nobody in the town. […] Your soul is damned, Nosferatu.”
Treno notturno Indianapolis-Pittsburgh: in una cuccetta, si consuma di gran mestiere un'aggressione ai danni di una malcapitata. L'aggressore è Martin Madahas (John Amplas), ragazzotto dai tratti innocenti ma dalle abitudini vampiresche: è solito iniettare un sedativo alle sue vittime, per poi tagliarne i polsi una volta incoscienti e succhiarne il sangue che sgorga dalle ferite.
Martin scende indisturbato dal treno, accolto dall'anziano parente Cuda (Lincoln Maazel), che lo conduce nella piccola e quieta Braddock. Cuda, vecchio bigotto di origini lituane costretto ad accudire Martin per via della scomparsa dei suoi genitori, mette subito in chiaro le regole: Martin è una maledizione di famiglia, un segreto che tale deve rimanere, un vampiro da osteggiare con crocifissi e spicchi d'aglio; nondimeno, il ragazzo dovrà fargli da aiutante e fungere da addetto alle consegne della macelleria di famiglia.
È durante una delle consegne di routine che Martin incontra la frustrata casalinga Abbie Santini (Elyane Nadeau), dalla quale viene, almeno in prima battuta, vanamente sedotto. L'unica altra figura a non essergli ostile è Christina (Christine Forrest), una sua cugina, che non condivide le superstizioni di Cuda e ignora il divieto di parlare al vampiro, ma ha comunque difficoltà ad aiutarlo ad inserirsi.
Intanto, Martin cerca di resistere ai suoi impulsi e a sottostare al diktat del fanatico Cuda, diventando anche un'anonima star di un programma radiofonico, nel quale cerca di manifestare la sua natura smitizzando la figura cinematografica del vampiro. Finché…
Nel 1977 George A. Romero era nel pieno di una carriera fattasi derelitta in seguito al folgorante esordio; sommerso dai debiti, lo strenuo cineasta di provincia gira nei sobborghi dell'adottiva Pennsylvania “Martin”, ancora una volta con un budget modesto (80'000 dollari). “Martin” è noto anche con l'esecrabile titolo “Wampyr” dell'edizione per il mercato europeo, che inseriva le musiche dei Goblin al posto di una colonna sonora originale piuttosto timida.
Comunque sia, questo film segna quantomeno una fase di stallo per Romero, il quale avrà una rinascita (soprattutto commerciale) l'anno successivo con “Zombi”. “Martin” è innanzitutto un buonissimo film; prendendo in prestito, anche abbastanza alla lontana, il mito dei vampiri, Romero ci fa empatizzare con un protagonista eccellente: Martin non è nient'altro che un reietto della società, vampiro o banale assassino, ragazzo taciturno o furioso psicopatico che sia. Circondato quasi esclusivamente da personaggi sgradevoli, verrebbe messo ai margini a prescindere dalla sua indole paradossale: assassino non violento, carnefice sofferente, maniaco con le vittime narcotizzate ma inesperto di “sexy stuff”. L'aspetto intimista e sociale è la chiave del meraviglioso e duro finale.
Quello di Martin è l'unico personaggio davvero ben delineato (e ottimamente interpretato dall'esordiente John Amplas), a onor del vero, ma la recitazione è generalmente discreta. Figurano in due piccoli ruoli lo stesso Romero e il truccatore Tom Savini, qui alla sua prima collaborazione col regista, ancora molto contenuta negli effetti speciali rispetto al gore di “Zombi” o all'elaborazione di “Creepshow”. La regia è sicura e asciutta, ricca di telecamera a spalla che segue i protagonisti, lasciandoli tuttavia imperscrutabili. Suggestivi ed enigmatici gli inserti in bianco e nero, forse visioni, forse sogni, forse flashback.
Fotografato in maniera finalmente decente da Michael Gornick, pure lui - come Savini - al primo di una lunga serie di lavori con Romero, “Martin” è un piccolo gioiellino di una serie B che fa sua l'arte di arrangiarsi puntando su atmosfera e significato. Caldamente consigliata – manco a dirlo – la versione originale.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta