Regia di George A. Romero vedi scheda film
Come ne "La notte dei morti viventi", in questo film l'orrore è una mostruosità vissuta alla luce del sole, che però nessuno vuole o può affrontare con le risorse della ragione: se per il protagonista il vampirismo è un impulso che si sottrae completamente al controllo razionale, per gli altri è uno scandalo da coprire con il velo del perbenismo o con l'oscurantismo della superstizione. In questa storia l'impotenza di fronte al male si fa colpa, diventando una sorta di peccato d'omissione della scienza nei confronti della patologia. La donna che, nel corso di un'aggressione, si rifiuta di chiamare il pronto intervento per non far scoprire il suo adulterio è solo un indizio di come l'umana propensione alla conoscenza e alla ricerca di soluzioni sia troppo spesso sacrificata ad un atavico, protezionistico desiderio di non (far) sapere, che è all'origine di tutti i cosiddetti "segreti di famiglia".
Romero dirige un film inquieto, che non sa bene dove posare lo sguardo, incerto tra la morbosità del voyeurismo e il ribrezzo per l'orrore. Questo ondeggiare è come il fremito della perversione che, esitando, si trattiene fino a che la voglia repressa non esplode imperiosa, con i fiotti di sangue a celebrarne il liberatorio sfogo. Eppure in questo film non v'è traccia di esaltazione della violenza: ad ogni atto delittuoso il ritmo rallenta, e quasi si accartoccia, intorno allo scoglio di un incidente incomprensibile, che è apparentemente fuori posto nella realtà, ossia nella normalità della gente come noi.
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