Regia di Ben Affleck vedi scheda film
Ma che volete di più? Che Michael Jordan o il Falotico ritornino ad essere dei grandi campioni? Orsù, anzi, ciò per Jordan non è fattibile.
Ebbene, svincolato ivi da canoni editoriali, un po’ sganciato da tutto, come mia consuetudine, recensirò in modo flamboyant tal assai gustoso movie che vale il prezzo del biglietto, offrendo alle nuove generazioni la mia preziosa e imperdibile chance di ricordare loro chi fu Michael Jordan e cos’ha rappresentato per tutti noi, invece, boys degli eighties a cavallo dei nineties quando la sua stella, già fulgida e sempiterna, fu all’apice del suo magnifico e imbattibile nitore. Dandoci la possibilità di tornare indietro nel tempo e giocare ancora, no, perlomeno di godere appieno, dal vivo e in diretta cinematografica, di quello spettacolo vivente chiamato, ripetiamolo a gran voce, Michael Jordan. Mito giammai battuto, campione imbattuto, con una “battuta” da cestista spacca-canestro veramente insuperato.
Ma che bel film, caro Ben Affleck. Sì, malgrado sia esageratamente retorico, ingenuo, a tratti, un dolciastro e buonista inno speranzoso alla grandezza in senso lato, scambiato però malignamente per un capzioso spot promozionale alle eterne scarpe Nike ascritte indelebilmente al suo marchio leggendario in virtù specialmente di the greatest Basket player of all time, che ve lo ridico, per l’ennesima volta, a fare? Il sig. Jordan.
Saltando come Mike, no, a piè pari su Wikipedia, estraendovene la trama qui riportata e, sottostante, per comodità, copia-incollatavi, con apportate mie correzioni alla punteggiatura...
«1984, Beaverton (Oregon). Nella sede della Nike il manager Sonny Vaccaro, esperto di basket, è alla ricerca di giovani talenti a cui proporre un contratto di sponsorizzazione per rilanciare il marchio che all’epoca era fortemente votato al running e con quota di mercato nel settore del basket nettamente inferiore ai colossi come Converse e Adidas. Sonny decide di investire tutto il budget messogli a disposizione dalla dirigenza per chiudere un contratto con la stella emergente del basket: Michael Jordan. Per riuscire nel suo obiettivo Sonny deve vincere le resistenze del suo CEO Phil Knight, del manager di Jordan e dello stesso Michael, all’epoca molto più attratto dalle sirene dell’Adidas. La strategia di Sonny si rivela azzardata ma vincente quando decide di far breccia nei sentimenti della mamma di Michael, proponendo per il figlio un ruolo in assoluto primo piano nelle strategie commerciali della Nike ed inventando una scarpa ed una linea di abbigliamento, la Air Jordan, appunto, progettata esclusivamente per il campione».
Dinamico, scoppiettante, dal ritmo eccezionale malgrado le sue quasi 2h nette di durata che, invero, ci mostrano solamente qualche brevissimo spezzone delle partite di pallacanestro che coinvolsero il fenomeno suddetto, specialmente concernenti il suo periodo pre-successo, sottolineandone l’inarrestabile ascesa, evidenziata in un colpo storico, quando militava tra le fila del North Carolina, alla sola età di diciotto anni. Poi, sarebbe avvenuta fulminante la detonazione deflagrante del campione vincente dei Chicago Bulls. Ma questa è un’altra storia, anche probabilmente personale.
Poiché, memore della mia adolescenza, peraltro ancora non terminata, essendo infatti il sottoscritto un uomo senz’età, grazie al talentuoso, oramai inutile negarlo, Ben Affleck sia dietro che davanti la macchina da presa, nonostante il suo riccioluto look forzato, ringrazio lui stesso, autore, e questo suo “joint” alla Spike Lee (che si vede nei titoli di coda à la He Got Game), ovverosia un gorgeous, arguto opus di puro entertainment senza stolte velleità pseudo-artistiche da imbonitori cineasti arroganti e inutili... dicevo, ah, mi son perso e, perdendomi tra le scorribande mie mnemoniche alla Falotico, resuscito me medesimo di quei tempi remoti eppur, rimarco, in mente risortimi d’incanto.
Quando, pivot della squadra della mia scuola media, tra i felsinei fortitudini sfigati, tifavo per la Virtus e il suo idolo delle folle, alias Predrag Danilovi?, detto simpaticamente Sasha.
Cosicché, mentre il figlio della signora Fiorini del settimo piano del mio pazzo, no, palazzo, giocava per l’appunto tra le giovanili della squadra bolognese scudettata e appena nominatavi, molti anni prima della musicale hit “strappa mutande” If You Believe, firmata dal lituano, no, tedesco, Sascha Schmitz, prima d’incantarmi in un’esistenza oggi rinata, però all’epoca suonata, assai rintronata e fottutamente dai miei coetanei bullizzata, derisa, schivata, schiavizzata e perfino schifata, a volte giocavo con le palle nell’ammirare le più sexy tenniste, non solo di Wimbledon e del Roland-Garros, per un onanistico Grande Slam da ottimo slurp...
Pardon, scusatemi per questa parentesi superflua e stupida, forse solo da seg... olo ridicolo, non smarriamoci in balle e cazzate sesquipedali, questo film è una figata assoluta. In alcuni momenti, più eccitante di Maria Sharapova quando fu gran topa al suo top. Ebbene, ragazzi da Topexan e dermo-lavaggio per curarvi dalle asperità del vostro viso butterato, cari brufolosi topi che preferite un topless alle cosce di Camilla Giorgi, Flavia Pennetta, in verità una “pennona” così come dicono qui, in quel di bona, no, Bononia, cioè Bologna, e di un’Anna Kournikova che sprona all’alcova, gatta ci cova quando un critico, semmai anche femminile che ovula, si permette di stroncare un film così gentile e cazzuto come questo. Non è affatto, a differenza di ciò che si legge in giro, un ratto, no, un ritratto a mo’ di biopic su Jordan, nemmeno un’ode al capitalismo, care oche. È Cinema a stelle e strisce di ottimo stile garbato, godibile mainstream nel senso più cool, per nulla spregiativo, della parola. La sceneggiatura di Alex Convery è volutamente, spesso, addirittura infantile e mette in bocca, nel prefinale, alla grande Viola Davis, effettivamente, ciò che risuona più fake di Scottie Pippen. Che voglio dire con questo? Pippen era un falso? No, un grande amico di Michael, altresì era geloso da morire del suo friend. Mentre Matt Damon non nutre alcuna gelosia nei riguardi di Ben. Damon, un attore strepitoso, considerato dalle persone insulse sol un attore insignificante e anonimo. Che atrocità e immonda falsità veramente ingrata e ignobile. Non è bono come Affleck e non vuole esserlo, così come l’eccellente Jason Bateman, nei panni di Rob Strasser, non incarna un personaggio stronzo alla Patrick Bateman...
Chris Tucker non è un champion della recitazione ma è indubbiamente simpatico ed è da sempre conscio che non poteva essere il new Jordan se, alla recitazione, per l’appunto, avesse preferito il basketball. Non è Richard Pryor, neppure la versione black di Bill Murray. Quest’ultimo comparente, nei titoli di testa, in un frame iconico da The Ghostbusters e non da NBA Jam fra uno Sly Stallone che duetta con Dolly Parton e un Hulk Hogan da memories wrestling e non quello di Rocky III.Sebbene si veda poi Mr. T e si citi apertamente Eye of the Tiger dei Survivor... Non scorgiamo e non c’è Martina Navratilova ma, nel cast, v’è Barbara Sukowa. La fotografia di Robert Richardson è semplice ma funzionale, malgrado non c’illumini con pindarici svolazzi da Bringing Out the Dead e da Oliver Stone. Prima che quest’ultimo, per Ogni maledetta domenica, scegliesse Salvatore Totino, lasciando Richardson a Quentin Tarantino.
Air è un filmino? È un filmone o solo un filmetto? È imperfetto ma giammai ampolloso, è diretto come un blockbuster degli anni novanta tipicamente proveniente dagli States, non è forse nulla di che ma intrattiene di brutto. Infine, Damian Young assomiglia a Michael Jordan alla pari di Mike Moh, nei panni di Bruce Lee, in C’era una volta... a Hollywood. Cioè, Young è diversissimo da Michael.
Anche perché non viene mai inquadrato, se non di spalle, ah ah.
Ecco, il Falotico, invece, il quale va in giro a dire che era più forte di Marco van Basten e Diego Armando Maradona, essendo stato davvero un calciatore, sebbene non abbia mai giuocato in Serie A, è un pazzo senza contezza di esserlo e va, quanto prima, internato? Può essere oppure potrebbe essere, a proposito di Sylvester Stallone, ancora in forma, come Rocky Balboa nel quinto episodio della sega, no, saga arcinota e non da Circolo Arci. Al che, se qualche stronzetto irriconoscente come Tommy Gunn gli si rivolta contro, urlandogli “lo distruggo quel fallito!”, semmai attaccando la sua famiglia, gli risponde: - Bravo, l’hai messo giù, ora perché non ci provi con me, ragazzo?
No, la sua risposta sarà inaspettata, simile a quella di John Rambo, quando in First Blood, tutti gli idioti, pensano che sia morto... Ora, poveri smemorati... https://www.youtube.com/watch?v=jbW4f60dCNA
di Stefano Falotico
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