Regia di Ben Affleck vedi scheda film
Genesi di un successo (imprevisto e planetario). Per ottenere un grande risultato, sbaragliando la concorrenza, non esistono formule predefinite e infallibili. Indubbiamente, senza idee - degne di essere considerate degli autentici assi nella manica - si rimane fermi al palo, ma poi sono indispensabili altre illuminazioni, quel fiuto che permette di dribblare tutti gli ostacoli/intoppi che vengono inevitabilmente a frapporsi, un timing esemplare, la faccia tosta per smussare/abbattere le perplessità e un po’ di propiziatoria fortuna, avvalendosi quindi del sostegno della fantomatica dea bendata.
In parole povere, un bel po’ di fattori devono allinearsi, creando una - rara e particolare – congiunzione astrale.
In Air – La storia del grande salto viene descritto un successo proseguito nei decenni scavallando qualsiasi scala di valutazione ammissibile, tuttavia il film messo a terra con brillante dinamismo e pimpante armonia da Ben Affleck va decisamente oltre le sue mansioni di base, impacchettando un matrimonio propositivo e vincente tra le sue molteplici componenti, appuntando sul suo biglietto da visita numerosi spunti da conservare nella memoria.
Stati Uniti, 1984. Il mercato delle scarpe da basket è dominato dalla Converse, insidiata solo dalla tedesca Adidas. In questo contesto sfavorevole, la Nike sembra destinata a ricoprire niente di più che un ruolo di rincalzo, snobbata dai grandi giocatori e con budget troppo bassi per essere realmente competitiva.
Il quadro potrebbe cambiare quando Sonny Vaccaro (Matt Damon – Jason Bourne, The martian), un esperto di basket dall’occhio lungo, è disposto a fare il passo più lungo della gamba pur di accaparrarsi un giovane talento di nome Michael Jordan, scontrandosi per questa ragione con Rob Strasser (Jason Bateman – Ozark, Come ammazzare il capo… e vivere felici), il suo superiore diretto in casa Nike, e Phil Knight (Ben Affleck – Acque profonde, L’amore bugiardo – Gone girl), il Ceo dell’azienda che non ha alcuna intenzione di correre rischi eccessivi, ignorando pure i miti consigli del suo dirimpettaio di scrivania Howard White (Chris Tucker – Il lato positivo, Rush hour – Due mine vaganti).
Comunque sia, Sonny decide di giocarsi il tutto per tutto, scavalca addirittura David Falk (Chris Messina – Devil, Sharp objects), il procuratore del ragazzo, per arrivare a parlare direttamente con Deloris (Viola Davis – Le regole del delitto perfetto, Barriere), la ferrea e protettiva madre di Michael.
Nonostante tutto, l’affare rimane in salita ma Sonny ha da giocarsi più di un jolly per centrare l’exploit e rovesciare il banco, modificando per sempre le abitudini del basket e del marketing ad esso associato (e non solo).
Dopo l’osannata esperienza di Argo, Ben Affleck attinge nuovamente a quel pozzo dorato che si chiama Black list recuperando una sceneggiatura depositata nel 2021 da Alex Convery e delinea un autorevole manifesto programmatico precipitandosi nei gettonati anni ottanta.
Un periodo che sintetizza in un incipit incalzante e travolgente, per poi avviare e sviluppare una narrazione bilanciata, distesa e cosparsa da nicchie di alta qualità, che illustra una vicenda dalla caratteristica portata evocativa, con tanto di cassa di risonanza amplificata, e destinata a segnare il corso degli eventi sine die, ponendo in comunicazione il passato e il presente giovandosi del fatidico senno del poi, che condivide a tutti gli effetti con il pubblico, stimolato dalla possibilità di circolare nel dietro le quinte di quanto avvenuto.
Dal punto di vista contenutistico, siamo dalle parti della cosmogonia del sogno americano, che offre occasioni irripetibili, plasmato sulla forma mentis dell’underdog, di un sognatore in grado di scardinare gli algoritmi che distinguono in maniera preventiva i vincitori dai vinti gettando il cuore oltre l’ostacolo, di un visionario che riscrive le regole del gioco, individuando praterie inesplorate da conquistare.
Sul versante formale, Ben Affleck mette da parte la cronaca rosa (la relazione con Jennifer Lopez), le crisi personali (vizi che lo mandano al tappeto) e le polemiche (a titolo esplicativo, vedi quanto detto/scritto sul suo Batman), confermandosi un regista altamente affidabile, capace di tenere i ranghi compatti, di giocare d’anticipo con stoccate puntuali e di ottenere la massima resa dagli ottimi dialoghi di cui dispone (non siamo troppo distanti da The social network), coadiuvato dai performanti rivestimenti garantiti dalla fotografia compatta e geometrica di Robert Richardson (Bastardi senza gloria, The aviator) e da un montaggio esemplare impresso dal navigato William Goldenberg (Insider. Dietro la verità, Zero dark thirty), elementi che vanno a costituire un artwork con un portentoso coefficiente di funzionalità.
Infine, Air – La storia del grande salto ha in dotazione un cast affiatato, che si esprime all’unisono donando a tutti i partecipanti – almeno - un momento di gloria. Se Matt Damon continua a incamerare ottimi ruoli mostrando un’invidiabile duttilità (il ruolo ricorda da vicino quello ricoperto in Le Mans ’66 – La grande sfida), Jason Bateman e Viola Davis aggiungono mattoncini segnati da una professionalità significativa, da una marcia in più e da una disarmante dimestichezza, Chris Tucker immette una porzione di simpatia, mentre Ben Affleck si ritaglia uno spazio sopra le righe, camaleontico e gigionesco.
A conti fatti, Air – La storia del grande salto distribuisce lauti dividendi, provenienti – in ordine sparso - da tutti i suoi comparti. Dunque, Ben Affleck, regista (The Town, Gone baby gone) e interprete che si divide tra trionfi (Il bar delle grandi speranze) e derisioni (Amore estremo), acclamazioni di massa e tonfi clamorosi, torna in forma smagliante e dimostra di possedere un completo polso della situazione, non fallisce neanche un colpo, copre gli spazi di manovra con immediatezza e cattura tutti i rimbalzi vaganti, regalando un esempio di intrattenimento loquace, intraprendente e redditizio.
Tra un pregevole senso della misura e conigli estratti dal cilindro nei momenti topici (talvolta da pelle d’oca), brand di successo e un ammirevole spaccato d’epoca, bordi ben definiti e sconfinamenti calibrati, curiosità appetitose e derapate eseguite mantenendo un pieno controllo, fenomeni del futuro e riscosse, dispute vivaci e trattative al fulmicotone, investimenti premianti e scommesse vinte a mani basse.
Avvolgente e classicheggiante, fluido ed effervescente.
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