Regia di Brian Helgeland vedi scheda film
Si vive e si muore, è il cammino quello che conta. Questa affermazione, che viene ripetuta più volte all’interno del film in oggetto per assegnare una rilevanza significativa a tutte quelle decisioni che definiscono puntualmente un percorso umano, vale esattamente allo stesso modo per i film, che cominciano e finiscono, ma poi è tutto quanto avviene tra queste due estremità a determinarne gran parte del valore specifico e definitivo.
In Finestkind, non sono certo gli avvenimenti a mancare, che anzi si susseguono copiosamente spalmati su un discreto quantitativo di personaggi e in contesto ingeneroso nei confronti di chi combatte come può per rimanere a galla, bensì la compattezza, la congruità, la plausibilità e la continuità, tutte caratteristiche che fanno difetto al film di Brian Helgeland (Payback – La rivincita di Porter), nonostante si tratti di un soggetto lungamente covato dall’autore di Providence e basato sulle esperienze maturate in prima persona a contatto dell’ambiente lavorativo, duro e rischioso, della pesca.
New Bedford, Massachusetts. Nonostante le insistenze dei genitori, Charlie (Toby Wallace – Babyteeth, Pistol) decide di accantonare gli studi e di lasciare la sua vita agiata per lavorare insieme al suo fratellastro Tom (Ben Foster – Senza lasciare traccia, Oltre le regole. The messenger), un pescatore che vive alla giornata e ricorrendo a espedienti non sempre leciti.
Tra imbarcazioni che colano a picco, regole violate e multe salate, arriveranno anche ulteriori opportunità per tamponare delle falle sempre più grosse, come quella offerta da Ray (Tommy Lee Jones – Il fuggitivo, Non è un paese per vecchi), il padre di Tom. Tuttavia, la situazione continua a peggiorare, al punto di convincere i ragazzi ad accettare di trasportare un consistente carico di droga per ripianare i debiti maturati, seguendo le indicazioni fornite da Mabel (Jenna Ortega – Mercoledì, X - A sexy horror story), una ragazza del posto con cui Charlie ha da poco intrapreso una relazione.
Anche questo incarico non fa altro che provocare ulteriori sventure, tutto appare irrimediabilmente compromesso e solo un miracolo potrebbe farli uscire da un vicolo cieco, scongiurando quello che si configura come un fallimento irreversibile.
Sviluppato e distribuito da Paramount direttamente sulla sua piattaforma streaming, Finestkind è un passo falso in piena regola, al quale è praticamente impossibile concedere le attenuanti generiche. Sceneggiato e diretto da un Brian Helgeland ormai lontanissimo dal suo periodo d’oro, contrassegnato da sceneggiature pluripremiate (L.A. Confidential, Mystic river) e da regie di successo (Il destino di un cavaliere), è letteralmente spaccato in due tronconi, con una prima parte di stampo prettamente drammatico e una seconda che s’immette sulla strada del thriller.
Ebbene, dapprima introduce un pugno di personaggi alla ricerca di un’occasione per svoltare, tra sogni da inseguire e legami da riscrivere, e descrive un prospetto sociale fuori dai radar, dove i pesci piccoli partono in una posizione di svantaggio ormai acquisita e niente viene realmente perdonato nonostante gli sforzi profusi, in pratica una lunga fase di presentazione/assestamento che fatica a mettere in linea un armamentario – sulla carta - tutt’altro che povero, tuttavia sciorinato in maniera cumulativa rimanendo in superficie.
A seguire, dopo il giro di boa vira su una carreggiata più accidentata, nella quale combina un disastro dietro l’altro, perdendo ripetutamente il controllo, con tempistiche inceppate, irruzioni gestite rovinosamente e svolte esposte con un pressapochismo ingiustificabile, compreso un finale che fa acqua da tutte le parti e che contiene almeno un paio di risoluzioni edulcorate e abborracciate che gridano vendetta.
Insomma, in tutti i frangenti che lo contraddistinguono, Finestkind scricchiola tremendamente, così da depotenziare/penalizzare un cast quanto mai invitante, una ciurma assortita e valida. Entrando nello specifico, Robert Foster ha un ruolo tagliato su misura sulle sue caratteristiche ma le condizioni calate dall’alto non lo premiano, la giovane star Jenna Ortega non ha effettive chance per brillare e Toby Wallace se la vede con un personaggio semplicemente sconcertante, mentre chi lascia intravvedere qualche barlume di qualità è Tommy Lee Jones, un vecchio leone che, per quanto imbrigliato, conquista una parziale simpatia.
In conclusione, Finestkind fa storcere il naso e va fuori giri con troppa facilità, il suo diario di bordo annovera un’enormità di errori gratuiti e una narrazione tanto datata/spuntata quanto dissestata. Peraltro, con un evidente difformità tra il biglietto da visita, tutto sommato promettente, e un rendiconto finale indiscutibilmente carente, tra rotte segnate e altre tutte da scrivere, cartucce sperperate e derive inconsulte, strafalcioni francamente evitabili e spallate frustranti, tappe bruciate e pugnalate non riassorbite, stereotipi e disfunzioni, con un respiro corto e in troppe circostanze tagliato di netto, generando scompensi macroscopici.
Fiacco e corrivo, autolesionista e arrugginito, un fiasco senza appello.
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