Regia di Fred Kelemen vedi scheda film
Uno sguardo senza speranze sull'abisso intorno e dentro l'uomo alle soglie del terzo millennio: un capolavoro cupo e terrificante sull'ineluttabilità della disperazione, scritto, fotografato, montato e diretto dal Fred Kelemen già direttore della fotografia per Béla Tarr (oltre che pittore e autore teatrale, nonchè regista dello strabiliante Frost), disturbante, rigoroso, estremo ed angosciante fino all'insostenibilità, ambientato in una metropoli devastata (ricreata fondendo locations sparse tra Germania, Polonia e Portogallo), percorsa dalla desolazione di un'umanità reietta e disperata, sempre alla ricerca di una via di fuga dallo squallore di un'esistenza miserabile e da una vita di solitudine. Anche l'amore è al crepuscolo, divorato dalle scorie devastanti seminate da una società cannibale in caduta libera nella perdizione: una coppia, formata da Anton, disoccupato, e Leni, che lavora in una lavanderia, ha un ultimo sussulto, durante un'interminabile notte per le vie della città, un tentativo per appigliarsi ad una qualsiasi ancora di salvezza in grado di salvarli e rigenerarli: Abendland è la cronaca della loro lunga notte e del loro vagabondare, insieme o separati, sull'orlo del baratro, messa in scena da Kelemen con un rigore stilistico di abbagliante splendore visivo e di straordinario vigore espressivo: sequenze interminabili e dall'incedere ipnotico, lentissimi e sconvolgenti movimenti di macchina, recitazione estraniante, in cui ogni gesto viene amplificato e dilatato fino ad un iperrealismo quasi sfrenato. Un'opera ispirata ed evocativa, cupa e terribilmente esasperante, ammantata da un controcanto sonoro di dolente suggestione, sospeso tre le malìe delle ballate d'amore e morte del fado portoghese (Antonio De Brito), i loop minimalisti indie-rock (Blurt), il trash-pop (Madonna Hip Hop Massaker) e le derivazioni industrial (Scarnella). Impossibile resistere alla sua potenza evocativa.
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