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L'Impero

Regia di Bruno Dumont vedi scheda film

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La recensione su L'Impero

di mm40
7 stelle

In un tranquillo paesino dell'Alta Francia l'ex moglie di un giovane pescatore, Jony, muore in un incidente stradale e viene trovata decapitata. Il bambino dei due si salva, così come il nuovo compagno della donna, Rudy. Tra quest'ultimo e Jony nasce un'aspra contesa per il piccolo, ritenuto l'erede dell'impero del Male; è così che Rudy si schiera con Jane dalla parte degli 1, alieni che rappresentano il Bene, mentre Jony e Line combattono per gli 0, gli alieni del Male.


Solamente Bruno Dumont al mondo avrebbe potuto girare un film così delirante e sconclusionato, volutamente nonsense e al tempo stesso pregno di momenti memorabili, di perle dell'assurdo. Un film dal discreto budget quantomeno per ciò che riguarda gli effetti speciali, dispiegati senza alcuna parsimonia e davvero impressionanti, ben riusciti. L'impero è il Guerre stellari di Dumont (che firma anche la sceneggiatura): pochi personaggi, paesaggi miserabili dell'avara natura dell'Alta Francia, astronavi, spade laser, battaglie spaziali tra il Bene e il Male. Elementi che non solo sulla carta male si accostano fra loro: L'impero è realmente un film dalla fruizione, diciamo, non semplice – eppure scorrevole nella sua naturalezza e perfino esilarante se ci si abbandona al flusso narrativo singhiozzante e privo di spina dorsale adottato dall'autore. Inutile farsi più di tante domande, inutile chiedere un senso o addirittura una morale (il Bene e il Male possono unirsi solo nel sesso? Bello spunto, ma forse non proprio voluto nell'economia del lavoro): questo è puro Dumont. Come sempre i suoi interpreti sono completi sconosciuti o quasi, e ciononostante funzionano alla perfezione; a parte Camille Cottin e (un gustosissimo) Fabrice Luchini abbiamo qui Lyna Khoudri e Anamaria Vartolomei (dalle carriere già lanciate), l'esordiente Brandon Vileghe, Julien Manier (la cui unica precedente prova su un set era proprio con Dumont, per Jeanne, nel 2019) e gli straordinari Bernard Pruvost e Philippe Jore, ossia il comandante Van der Weyden e il tenente Carpentier di P'tit Quinquin (2014) e di Coincoin et les z'inhumains (2018). Forse per una volta il regista indugia meno sulla disperazione dei luoghi e degli esseri umani che tanta ispirazione da sempre gli fornisce, ma sceglie comunque delle facce mai banali, spigolose il giusto, a loro modo rivelatrici della comica inquietudine di fondo che muove per l'appunto il cinema di Dumont. 7/10.

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